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fino al 28.II.2011 Michael Johansson Milano, The Flat
milano
Volumi dal peso indefinibile. Oggetti gemellati. Colori come accostamenti. E pareti che eludono il tempo. Gli innesti puntigliosi del fotografo svedese si trasformano in sagome strutturate...
di Ginevra Bria
lavori, progetti o opere d’arte, oggi, non si vede che ordine. Il piano ipogeo
della galleria è interamente dedicato a un percorso di ricerca dispositiva e di
un conseguente, metodico riempimento seriale. Un’operazione artistica di
compensazione geometrica del nulla. La singolarità cromatica degli oggetti
raccolti e la loro indistricabile unione ne azzera ogni statuto, ogni ricordo
di funzionalità.
Bandito il vuoto tra le cose, addensate fra loro una volta
per tutte, il resto torna e assume nuova vita. Il risultato è l’emergere di
ulteriori disposizioni, inedite possibilità estetiche e aggiuntive porzioni di
vissuto. Tra la ricerca di compiutezza e il valore del completamento, tra il
colore e l’acromia, tra gli scarti e le imperdibili soluzioni d’utilizzo,
inaugura Familiar abstractions,
mostra personale dell’artista-fotografo svedese Michael Johansson (Trollhättan, 1975; vive a Malmö).
I lavori esposti ricordano, per intensità compilativa,
le performance newyorchesi di un noto coreografo austriaco, Willi Dorner, che per anni ha
posizionato, fra intercapedini, interstizi e arredi urbani, i corpi in posa del
suo coloratissimo corpo di ballo. Performer che, innestati gli uni con gli
altri, hanno incarnato i vuoti della
città, studiando meticolose coreografie plastiche e utilizzando acrobatiche
stratificazioni fisiche.
Ma Johansson nasce come fotografo e
perfezionista rituale. Il corpus dei lavori presenti in galleria si compone di
due fotografie di medie dimensioni, di cinque sculture e di una grande
installazione. Il primo lavoro del percorso si incontra scendendo dalle scale
d’ingresso. Il titolo affidatogli è Full
empty. Un parallelepipedo esposto su una colonna bianca e costituito
dall’incastro di decine di bicchieri e bottiglie; oggetti di vetro sagomati dal
tavolino in ferro battuto che li sovrasta e li contiene.
Poco oltre, una parete ricolma di vecchi
armadi, panche, lavatrici, elettrodomestici, assi, ventilatori e serpentine,
mostra il lato B dell’installazione a parete dal titolo Ghost II. Frontalmente, il lavoro è costituito dalla perfetta
adesione di oggetti di recupero, uniti a formare un superficie rettilinea,
omogenea e interamente bianca. In soli cinque giorni, l’artista svedese ha
impilato mobili ed elementi di scarto, recuperati e poi accomunati dal loro
candore.
Nella sala principale stupisce per perspicacia
il dittico Days and names, doppio assemblaggio volumetrico rosso,
metafora di contenitori contenuti. Da notare anche lo scatto retrostante,
fotografia di un’installazione urbana progettata di recente da Johansson. In
primo piano, in completa sovrapposizione con l’architettura attorno, una torre
monumentale si innalza nel mezzo di un cortile, incastrando una serie di
container, un caravan e addirittura un trattore, inserito verticalmente.
In questa mostra, campi semantici e campi
cromatici si fondono come gli oggetti ai quali appartengono. Operazioni coscienziose
che eliminano lo spazio e il tempo dal vuoto delle cose.
Voglia
di epica
ginevra bria
mostra visitata il 20 gennaio 2011
dal 13 gennaio al 28 febbraio 2011
Michael
Johansson – Familiar abstractions
The Flat – Massimo
Carasi
Via Frisi, 3 (zona Porta Venezia) – 20129 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 14-19.30;
festivi su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0258313809; carasi-massimo@libero.it; www.carasi.it
[exibart]