Può un videoclip salvare il mondo? Se lo chiede
Robert Gligorov (Kriva Palanca, 1960; vive a Milano) nella sua nuova mostra,
Mammut. E la risposta è positiva.
Mammut è un disco musicale, un vero e proprio album composto da quindici canzoni e altrettanti video.
Mammut è l’unica opera esposta in galleria. Clip che si susseguono in una stanza buia, come in una maratona di Mtv. Clip che nulla hanno a che fare con la videoarte, ma che pensando alle televisioni musicali hanno visto la propria genesi. Musica contemporanea nell’accezione pop del termine, ispirata all’hip hop, al rap, allo spoken word, in cui è il testo a costituire la parte fondante del pezzo, e l’accompagnamento si riduce a una ritmica in sottofondo.
Poter parlare delle tematiche sociali più importanti è ciò che interessa all’artista macedone. Non è un musicista, non è un cantautore, Gligorov. Semplicemente, per dirla alla Marshall McLuhan, “
the medium is the message”. Nella società dei media, sono questi il veicolo fondamentale per diffondere idee; la televisione in primis, con la sua presenza confortante e sicura in ogni casa. Gligorov interpreta i linguaggi contemporanei per sfruttarli artisticamente. Così, i quindici video sono veri e propri prodotti non di massa, ma
per la massa, pronti a esser trasmessi sui canali generalisti, fra una televendita e una soap opera, pronti a comunicare la propria denuncia sociale, indorata dalla confezione pop.
Non è un mondo roseo, quello cantato da Gligorov, e lo si intuisce anche dall’installazione che precede la sala di proiezione. Il futuro è un buco nero, come in
Tante storie, in cui saltando tra le caselle del gioco della campana si rischia di precipitare in una voragine, cruda metafora sia dell’incertezza che hanno davanti le nuove generazioni, sia del deterioramento sociale a cui stanno assistendo coloro che ancora riuscivano a giocare per la strada con i gessetti.
E poi la politica, la religione; la sempre più difficile distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, che scorre sinestetica davanti agli occhi, entra nella mente attraverso le canzoni e persiste sulla retina grazie alle fotografie e alle installazioni che fanno da corollario ai video.
Trascendendo le esperienze di
Andy Warhol con i Velvet Underground, andando oltre le collaborazioni di Gligorov stesso con i Bluvertigo, la musica diventa la forma d’arte totale, che riprende la concezione wagneriana della
Gesamtkunstwerk. Ma pronta per la diffusione massificata. Ready to rock.
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ma per carità chiudiamo quest'arte non arte!!! bastaaaaa nn se ne può più!