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12
marzo 2009
fino al 28.III.2009 Steven Claydon / Kelley Walker Milano, Massimo De Carlo
milano
Gran Bretagna e Stati Uniti a confronto. Il tema? La soglia, l'infinito dell'occhio umano. Una stanza per uno, oltre a una sala in comune. Il risultato: inaspettato, ma così figlio della propria cultura...
Due artisti, una galleria, un tema – la possibilità della visione all’infinito -, uno spazio talmente ampio da far sì che le due personali possano anche non incontrarsi. Ma non in questo caso, perché a unire le due mostre c’è un anello di congiunzione, un luogo in cui le due individualità artistiche possono incontrarsi, pur rimanendo fermamente distinte. È questo lo scenario che vive, nella Galleria Massimo De Carlo, nella mostra intitolata emblematicamente Two Times New Horizon.
Apre l’esposizione il lavoro dell’inglese Steven Claydon (Londra, 1969), che interpreta il concetto di orizzonte nel modo più tradizionale, creandone uno artificiale, che inganna la visione prospettiva del visitatore. Le opere dislocate nello spazio interferiscono con la linea immaginaria resa esplicita dalla struttura in metallo; ognuna ha un punto di fuga proprio, ognuna ha tre dimensioni che destabilizzano l’occhio. Commistioni di materiali organici e inanimati, che cercano una decifrazione nella loro criptica staticità.
Risponde, al piano superiore, l’americano Kelley Walker (Columbus, 1969; vive a New York); risponde con una chiusura all’apertura dell’orizzonte del britannico. È infatti un muro quello che viene costruito sulle sue tele, una barriera che lascia degli spiragli solo nelle fughe tra i pesanti mattoni disegnati. Uno spesso diaframma che nasconde pagine rubate ai principali mezzi d’informazione cartacei degli Stati Uniti. Patinate riviste e autorevoli quotidiani diventano impossibili da leggere, inintelligibili, perdendo così la propria essenza informativa, trasformandosi in un alfabeto che necessita di una nuova semiotica per esser compreso, e diventando triste metafora della presunta libertà d’espressione a cui s’è uniformata la società contemporanea.
Metafora anticipata dal lavoro presentato nella stanza che vede i due artisti faccia a faccia: la copertina di una rivista maschile, ingigantita, fuori scala, è imbrattata con ciò che leggiamo essere dentifricio. È la risorsa fondamentale per la nuova comunicazione, in cui l’apparenza conta più della sostanza, perché “il sorriso è sempre l’arma migliore”, anche quando si trova a essere del tutto fuori luogo.
Risponde Claydon aggredendo il muro con uno stencil, che ricrea un pattern argyle tradizionalmente britannico, e con un omaggio a Meyer Vaisman, padre venezuelano della Pop Art. A dimostrare che l’immaginario pop non è appannaggio esclusivo dei Paesi anglosassoni, impegnati nel serrato testa a testa artistico.
L’esito non vede vincitori né vinti; semplicemente due artisti con orizzonti diversi.
Apre l’esposizione il lavoro dell’inglese Steven Claydon (Londra, 1969), che interpreta il concetto di orizzonte nel modo più tradizionale, creandone uno artificiale, che inganna la visione prospettiva del visitatore. Le opere dislocate nello spazio interferiscono con la linea immaginaria resa esplicita dalla struttura in metallo; ognuna ha un punto di fuga proprio, ognuna ha tre dimensioni che destabilizzano l’occhio. Commistioni di materiali organici e inanimati, che cercano una decifrazione nella loro criptica staticità.
Risponde, al piano superiore, l’americano Kelley Walker (Columbus, 1969; vive a New York); risponde con una chiusura all’apertura dell’orizzonte del britannico. È infatti un muro quello che viene costruito sulle sue tele, una barriera che lascia degli spiragli solo nelle fughe tra i pesanti mattoni disegnati. Uno spesso diaframma che nasconde pagine rubate ai principali mezzi d’informazione cartacei degli Stati Uniti. Patinate riviste e autorevoli quotidiani diventano impossibili da leggere, inintelligibili, perdendo così la propria essenza informativa, trasformandosi in un alfabeto che necessita di una nuova semiotica per esser compreso, e diventando triste metafora della presunta libertà d’espressione a cui s’è uniformata la società contemporanea.
Metafora anticipata dal lavoro presentato nella stanza che vede i due artisti faccia a faccia: la copertina di una rivista maschile, ingigantita, fuori scala, è imbrattata con ciò che leggiamo essere dentifricio. È la risorsa fondamentale per la nuova comunicazione, in cui l’apparenza conta più della sostanza, perché “il sorriso è sempre l’arma migliore”, anche quando si trova a essere del tutto fuori luogo.
Risponde Claydon aggredendo il muro con uno stencil, che ricrea un pattern argyle tradizionalmente britannico, e con un omaggio a Meyer Vaisman, padre venezuelano della Pop Art. A dimostrare che l’immaginario pop non è appannaggio esclusivo dei Paesi anglosassoni, impegnati nel serrato testa a testa artistico.
L’esito non vede vincitori né vinti; semplicemente due artisti con orizzonti diversi.
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Galleria Massimo De Carlo
Via Ventura, 5 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11.30-14 e 14.30-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0270003987; fax +39 027492135; info@massimodecarlo.it; www.massimodecarlo.it
[exibart]
una mostra che non aggiunge nulla