Dopo l’eccellente, intima mostra su
Morandi, Villa Panza e il Mart tornano a
collaborare con la mostra sull’
Arte Povera. Una selezione delle opere poveriste della
collezione del Mart arriva così in prestito a Biumo Superiore, e l’occasione è
davvero unica. Vedere le creazioni di Pistoletto,
Anselmo, Paolini e compagni collocate
nelle sale della villa, in dialogo con le opere minimaliste del conte Panza, dà
sensazioni che ricordano da vicino la vertigine.
Se le opere nelle Scuderie – di grandissimo livello –
appaiono leggermente sacrificate, le cinque opere esposte al primo piano della
villa sono valorizzate come poche volte accade all’Arte Povera. Un’arte che è
in sé dialettica e che quindi, più che tollerare, necessita di luoghi
fortemente connotati che ne amplifichino l’eco. L’immensa portata del movimento
è illustrata a campione, con uno o due lavori per artista.
Ma l’idea
complessiva che la mostra restituisce è davvero indicativa, sia quando
seleziona capolavori, sia quando propone opere poco viste o eccentriche nel
corpus dei singoli artisti.
La citazione classica spezzata in due di
Paolini contesta e assieme valorizza
l’eleganza delle sale della Villa: un tocco di postmoderno che non distrugge ma
eleva, cui si affiancano la stella archetipica di
Zorio, l’autosufficienza dei materiali
di
Penone e
l’installazione di
Pistoletto. Un’opera quasi ottimista, quest’ultima: lo spettatore si
riflette negli specchi inglobati nei tronchi, la progressione dal chiuso allo
spalancato mima la fioritura delle possibilità individuali negata dalle gabbie
della modernità. Un’idea moderna del senso di elevazione che può ispirare
un’opera d’arte, non spiritualistica né lirica, ma mediata dalla contingenza
storica.
Una mostra rigorosa, spettacolare e ben fatta, dunque. Ma,
sia detto a margine, stupisce ancora una volta la completa rimozione di un aspetto
fondamentale dell’Arte Povera: quello politico. L’uso di materiali quotidiani,
poveri e naturali non è solo una scelta stilistica o interna al dibattito sulle
forme artistiche. È un abbassamento di tono che significa riappropriazione del
linguaggio, del mondo e della sua rappresentazione; la prescrizione di un
ritorno all’autodeterminazione dell’individuo. Anche i testi critici in
catalogo, peraltro ottimi, sorvolano su quest’aspetto, presente a livello
programmatico nelle intenzioni del movimento poverista.
Tornare su questo aspetto è oggi necessario e urgente,
soprattutto ora che i vari tentativi di costruire un’arte governativa dichiarano
di voler confinare l’Arte Povera nel dimenticatoio. Un’ottima occasione per
questa revisione critica potrebbe essere la gigantesca mostra annunciata per la
seconda metà del 2011 e curata da Germano Celant.