“Oro
e colori preziosi” volevano i committenti. E lui quelli dava. Insieme a quel
quid chiamato stile. Quello con cui
Carlo
Crivelli (Venezia, 1430 ca. – Ascoli Piceno (?), 1494/95) si consegnò a una storia non
sempre generosa con lui.
Mestierante
del virtuosismo, attardato sul gotico fulgido d’oro e decori, pur contemperato
con la lezione padovana e la nuova spazialità rinascimentale, e caratterizzato
da splendidi brani di natura morta camuffati tra trionfi di foglie e frutti,
finì “stritolato” dal nuovo che inesorabilmente avanzava. E poco giovò alla sua
fama l’essersi scelto una collocazione “periferica”, quelle Marche in cui la
Urbino dei Montefeltro – e di
Piero della Francesca – faceva da padrona. Terra
affacciata a Oriente, dove la sepolta Bisanzio gli lasciava in eredità il più
nobile fra i metalli e le trame dei tappeti anatolici. Terra in cui, anni dopo,
sarebbe approdato un altro “compaesano” eccellente,
Lorenzo Lotto, anch’egli di rendimento
altalenante e, talvolta, curiosamente regressivo.
Esempi.
Il
San Francesco che raccoglie il sangue di Cristo, quasi formato cartolina, è una
composita lezione d’equilibrio,
dal paesaggio fiammingo alla legnosa anatomia
mantegnesca, dallo scorcio ardito al parato di lusso. Stesso anno, il 1490, ma
la lunetta con la
Pietà calca sull’espressionismo: intagliato e terreo il Cristo che più
nordico non si potrebbe, e contro il cielo incupito troppo stride il fasto di
marmi e damaschi. L’
Incoronazione della Vergine, ultima tavola certa, svincola le
proporzioni, e la composizione, zeppa di angeli, si fa disarmonica.
Nota
stonata in un pittor cortese, per il quale l’abito fa il… santo: campioni ed
eroine della fede sfilano in stoffe ricercate, riprodotte alla perfezione,
trait
d’union con arti
specializzate che collaborarono a queste grandi macchine d’altare con dettagli
“vivi”, aggettanti (le chiavi di san Pietro, la corona, il pugnale di san
Pietro Martire del
Trittico di San Domenico).
Più
che porsi come monografica completa, la mostra cerca, nell’ambito del
bicentenario braidense, di ricomporre le dispersioni toccate ai polittici,
trafugati dai commissari napoleonici per essere condotti a Milano, e in seguito
smembrati. Ad anticipare la burrascosa “fortuna” crivellesca è, del resto, il
significativo incipit
del piccolo percorso, ovvero l’
assenza della
Pala di San Pietro in
Muralto, oggi a
Berlino e qui in riproduzione fotografica.
Cuore
dell’esposizione il
Polittico del Duomo di Camerino, centrato sulla
Madonna della
Candeletta,
capolavoro di leggiadria e illusionismo. In mezzo al tipico festone vegetale,
mirabili l’enigmatica purezza del volto della Vergine e la grazia del Bambino
che, più che una bella pera polposa, pare tenga in mano archetto e violino.
Davanti, il cero sottile e la sua ombra disegnano un
trompe-l’oeil degno del miglior Surrealismo,
appoggiato al diaframma invisibile che divide l’opera dallo spettatore.
Zona
limbica privilegio dell’artista, che in quella candeletta stessa sembra apporre
il proprio sigillo. Firma parlante, più di mille cartigli.