Gran parte degli spazi esterni e interni della galleria sono dedicati alla mostra âVersoâ di Latifa Echakhch: nel cortile, stretti tra gli edifici circostanti, sei pennoni senza bandiere facenti parte dellâinstallazione âFantasiaâ presentata alla 54° Biennale di Venezia. Sulle vetrate della galleria, invece, colate di china nera che sembrano negare la divisione degli spazi quasi annullando il luogo stesso della galleria e i suoi contenuti; âEnluminureâ, il titolo di questo lavoro su vetro, per materiali e modalitĂ ci riconduce alla pratica piĂš riconoscibile dellâartista capace di illuminare simbolicamente lo spettatore attraverso gesti semplici che rimandano a pratiche quotidiane. Allâinterno, sempre di Latifa Echakhch lâinstallazione âMorgenLiedâ in cui un sistema di appendimento per quadri diventa una grande partitura musicale nella quale lâassenza delle tele suona come unâulteriore negazione delle aspettative piĂš comuni. A terra un mucchio confuso di sneakers, come quelle abbandonate dagli adolescenti prima di uno skin party. âSkinâ è infatti il titolo dellâopera che compone un ritratto generazionale, ma rimanda anche a riti religiosi collettivi producendo in parallelo uno stato ansioso legato alle tracce inanimate di persone non piĂš presenti. Nella seconda sala, ancora Echakhc, con lâopera dal titolo âPhantomeâ: una natura morta composta da una sedia su cui poggia uno strumento musicale a mano, coperto quasi interamente da un tovagliolo-fazzoletto; oggetti comuni che non possono altro che evocare la storia di un proprietario assente. Alle pareti vi sono alcune tele negate perchĂŠ coperte da carta carbone e inchiostro nero, materiali pronti al ricalco di un disegno mai svelato.Â
Nella terza sala della galleria il lavoro di Adrian Paci dal titolo âSheâ: sedici acquatinte in bianco e nero, introdotte dalla poesia albanese di Ndre Mjeda che narra il dolore e la solitudine di una donna, Lokja. Ancora una volta Adrian Paci ci offre un lavoro che costruisce per sottrazione, a partire dal suo vasto archivio video che documenta nei primi anni novanta rituali di matrimoni tradizionali in Albania. Le incisioni, tra il disegno e la fotografia, ricompongono una situazione marginale, ritraendo il volto di una donna che emerge dallâorizzonte confuso nel quale si sta consumando la festa. Il suo sguardo, distante e segnato, sembra seguirci portando nel tempo presente un ritratto solenne e pacato, carico di un sentimento solitario e indicibile. Una distanza poetica che racconta il fluire del tempo e che è rafforzata dalle minime variazione del volto che, dai fotogrammi video, passano alla carta attraverso il segno dellâartista sulla lastra.
La doppia partitura di questa mostra sembra mettere in scena lâassenza di cui le cose, oggetti come opere, sono testimonianza silente: dilatato e visionario il lavoro di Latifa Echakhch, concentrato e solenne quello di Adrian Paci.
paola tognon
mostra visitata il 26 febbraio 2012
dal 16 febbraio al 28 marzo 2012
Latifa Echakhch â Verso
Adrian Paci â She, a portfolio of etchings
Kaufmann Repetto Â
[exibart]
Laureata e specializzata in storia dellâarte, docente, critica e curatrice. Mi interessa leggere, guardare, scrivere e viaggiare, fare talent scout, ascoltare gli artisti che si raccontano, seguire progetti e mostre, visitare musei e spazi alternativi, intrecciare le discipline e le generazioni, raggiungere missions impossible. Fondo e dirigo Contemporary Locus.