Il ruolo della fotografia spesso coincide con la sua colpa. Nel ciclico atto d’accusa che le si rivolge, la fotografia ha sempre reagito portando come testimone se stessa, diventando il documento involontario e incontrollabile della storia che in precedenza ha catturato.
La mostra Ghitta Carell Grande in negativo vuole in qualche modo disfarsi di questa colpa, sovvertirla e nello stesso tempo invertire il nostro sguardo, farlo passare dal positivo al negativo indicandoci un nuovo senso di lettura della fotografia stessa.
Questa mostra è in realtà, come affermano i suoi curatori Fabrizio Urettini, Elena Piccini e Patrizia Piccini, l’incontro tra due fotografi, entrambi di origine ebraica che avevano subito le leggi razziali del ‘38 e sfuggito la deportazione: «Ando Gilardi e Ghitta Carell si conobbero a Roma nella seconda metà degli anni Sessanta, Gilardi le mostrò alcune immagini dei lager e delle fosse comuni, immagini che in quegli anni erano ancora poco diffuse e conosciute in Italia. La reazione della Carell davanti alle immagini della Shoah fu quella che Susan Sontag definisce “un’epifania negativa”».
La colpa storica per aver ritratto personaggi del potere fascista, come Mussolini, e della sua classe borghese, si trasformò per la Carell in consapevolezza e nell’altrettanta certezza di aver consegnato nelle mani del potere lo strumento più pericoloso: l’immagine, congeniata e costruita per generare consenso e imitazione. Forse per questo la Carell prima di lasciare l’Italia e stabilirsi in Israele, vendette tutto il suo archivio. Ma Gilardi, che aveva visto nel lavoro di Ghitta soprattutto la cura artigiana e meticolosa del pittorialismo fotografico dedito a pennellare via i difetti dei soggetti ritratti, riesce a smontare attraverso l’analisi di questo procedimento, il luogo comune della storia e della fotografia: «Fare una mostra sopra i ritratti di Ghitta Carrell sarebbe mettere in mostra non stampe definitive, cioè dopo che la Carell aveva fatto il ritocco, ma mettere in mostra una copia della lastra ritoccata, far vedere com’era davvero il duce, i nobili, i ricchi, come erano davvero perchè nel ritocco lo vedi, con doppio mento, occhi storti… perchè se tu riproduci anche il ritocco, il ritocco sottolinea, evidenzia i difetti».
Ando Gilardi con grande lucidità guarda oltre l’idolo che tutti deplorano ma di cui non vedono appunto, il negativo, invitando a guardare in esso il positivo della fotografia: i segni del pennello che copre ed esalta difetti e forme, rivela nel momento in cui corregge anche l’oggetto che vuole nascondere. Da qui le ragioni per cui la Carell, secondo Gilardi, non eseguiva mai ingrandimenti delle lastre ritoccate, che stampava a contatto grazie alle grandi dimensioni del supporto (18×24 cm). “Grande in negativo” significa proprio questo: che le vere fotografie di Ghitta Carell non coincidono con il fine per cui nascono, il positivo e la stampa, ma sono il loro negativo: è la lastra l’oggetto della sua fotografia e l’ingrandimento la modalità con cui la scala del dettaglio rende giustizia alla banalità del potere e della storia.
Barbara Galli
Mostra visitata il 14 settembre 2013
Dal 7 al 18 settembre 2013
Ghitta Carell Grande in negativo
realizzata dalla Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi in collaborazione con la Biblioteca Dergano – Bovisa
Biblioteca Dergano – Bovisa, Via Baldinucci 76, 20158 Milano.
Orari: 13.30 -19.00
Ingresso gratuito.