La primavera ha preso Milano con una nube aliena d’infiorescenze. Batuffoli ovunque. Nell’aere, nei capelli, persino nella galleria di Salvatore e Caroline Ala, che salutano la bella stagione con una mostra di Christiane Löhr (Colonia, 1965). Lieve, come le evoluzioni che la natura compie per garantirsi la riproduzione, l’universo friabile dell’artista dà sfoggio di sé in realizzazioni microemotive –e microscopiche- in cui la vita è il motore da cui scaturisce l’idea. I movimenti che sottendono alla crescita e alle trasformazioni dell’esistenza si rivelano nella propria quintessenza tramite le preziose, infinitesimali, frattali speculazioni generate dallo sviluppo di un’idea primigenia, riproponibile in scala, con la medesima coerenza, quasi a significare un percorso a scatole cinesi, in cui ogni dimensione è in grado di proporre con eguale energia l’identico tema. Nascono così le ragnatele, micro-installazioni pugnalate eppur sostenute da minacciosi spilli da balia, su cui sviluppa trame di crini di cavallo, schemi archetipi della creazione del mondo. Cui fanno da contrasto le vaporose installazioni di semi. Semi di cardo, edera, agrimonia, dente di leone: monumenti all’incoscienza e alla leggiadria, uniti, nel grande tappeto steso all’ingresso, o nelle costruzioni semisferiche allestite alle pareti dello spazio milanese, realizzati accostando, senza l’ausilio di un collante, quantità industriali di semenza. Un’esaltazione dell’effimero, nell’accezione più delicata del termine. In cui lo spettatore, chiamato ad abbandonarsi al lirismo puro, dimenticando le allergie, è costretto ad avvicinarsi. Per realizzare, scrutare, comprendere la compagine orchestrata dalla Löhr.
Le sue arnie, gli edifici in cui cataloga le istanze immateriali della propria arte. L’aborto involontario che applica alla natura, strappandola al ciclo vitale, concedendola al piacere beffardo della contemplazione, all’arte, alla morte, implicita nel principio primo, il germe, l’archè. Emblema dell’inevitabile processo di deterioramento cui l’artista sottopone la sostanza dell’opera, nonché l’opera stessa.
Così l’arte, chiamata ad aderire alla realtà, con un atteggiamento estetico-filosofico, si fa compartecipe, infine testimone, della condizione terrena, fino ad assimilarne i cicli. Non a caso, infatti, gli appassionati disegni dell’artista, esposti al piano seminterrato della galleria, giocano, nel conservare un grado altissimo di astrazione, sull’ambiguità possibile tra le ramificazioni arboree e le diramazioni del sistema circolatorio umano. Tra sangue e linfa. Tra congegni idraulici simili, pur con velleità discordanti. Sfortunati pezzi dello stesso, fatale, irrefrenabile ingranaggio.
santa nastro
mostra visitata il 10 maggio 2005
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