Open Mind(s) indaga un periodo di passaggio, un’apertura per quanto riguarda il mercato e il gusto del collezionismo comasco. La rassegna, organizzata dalla Fondazione Antonio Ratti, ripropone il 1978 come anno di “partenza”, periodo nel quale inaugura, negli stessi spazi,
Arte Svelata.
Oggi, a Villa del Grumello,
Open Mind(s) accoglie il visitatore con un dipinto gestuale di
Emilio Vedova, al quale sono affiancati due dipinti dalle atmosfere pop-vernacolari di
Mario Schifano, rispettivamente
Nancy del 1982 e
Ninfee, dipinto nel 1985. D’impatto più eclatante, anche se di tono meno sperimentale,
Alex Katz è presente accanto ai volti inseriti nelle tavole di
Gino De Dominicis.
Il percorso entra ed esce dal tema del ritorno al figurativo degli anni ‘80 con la Transavanguardia, e dunque esponendo quadri, disegni e sculture di
Sandro Chia e
Mimmo Paladino: un richiamo, rispettivamente, alla linea incisiva del primo autore e al primitivismo cupo del secondo.
La mostra prosegue mettendo in evidenza diversi elementi. Non fanno eccezione alcune parentesi materiche, con riferimenti al vivere sociale posti al centro di opere di
Gilberto Zorio e
Jimmy Durham. Successivamente viene indagato il supporto fotografico, che fa emergere le nitide architetture di archeologia industriale immortalate in bianco e nero da
Bernd & Hilla Becher. Effetti di sospensione frammentata, tra reale e immaginario, invece, vengono accentuati nell’assemblaggio fotografico di
David Hockney, che suddivide i punti di vista in sistemi strutturali.
Open Mind(s) procede a livello spaziale e temporale, approdando al mondo dell’arte contemporanea attraverso l’arrivo alla conoscenza di nuovi paradisi culturali. Basti ricordare le scene di discriminazione nelle installazioni video dell’iraniana
Shirin Neshat; oppure i progetti visivi di
Feng Zhengje, che ironizza sul linguaggio massivo dei media; o, ancora, la multimedialità politica firmata dal cubano
Django Hernandez.
Al loro fianco, completano la mostra artisti del calibro di
Marc Quinn,
Jennifer Steinkamp e
Timothy Tompkins, che radicalizzano la realtà attraverso il concetto di natura.
Jonathan Monk, in sintonia con le opere appena citate, presenta un’ammiccante provocazione al notissimo
A bigger splash di Hockney.
Testimonianza di come l’arte contemporanea imprima la conformazione storico-sociale di un’epoca,
Open Mind(s) si sviluppa in parallelo, tra materiali, luci e forme che vedono le geometrie di
Dan Flavin come la verticalità di
Piero Gilardi, simboli di mondi sradicati, progenitori tridimensionali d’immagini scomparse che, nel
Teatro delle tele di
Giulio Paolini, approdano senza voglia di nitidezza nel filmato multimediale di
Joan Jonas.
Un commento a parte merita
Speegel di
Gerhard Richter: un dipinto che, sebbene non ricordi l’apice della produzione dell’artista, ha il dono di porsi come detonatore straniante che confonde gerarchie, percezioni e punti di vista. Ricordi metaforici di certezze che, sempre più spesso, lasciano addosso l’idea della colpa senza errori.