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14
giugno 2010
fino al 28.VII.2010 Anish Kapoor Brescia, Massimo Minini
milano
Metti un artistar e un Premio Strega a Brescia. Sono le magie di cui è in grado un gallerista come Massimo Minini. Se poi riesce a far autoritrarre signore bene all’interno di una vagina...
Dopo i due libri pubblicati di recente, Massimo Minini lancia un progetto di
collaborazione fra arte e letteratura e chiama Tiziano Scarpa a “leggere” il
lavoro dell’artistar anglo-indiano Anish Kapoor (Bombay, 1954; vive a Londra).
Il Premio Strega Scarpa getta una luce radente sull’opera,
attraversando il concetto di “idea”. Le opere di Kapoor sono infatti idee
visive che diventano gorgo mentale, vortice che ingoia ogni espressività. La
creazione del vuoto è il fine ultimo di molti pieni, che Kapoor struttura
seguendo la curvilinearità dello spazio: quasi una traduzione visiva e tattile
della relatività einsteniana.
La sfera con cui si apre la quarta personale da Minini
(che per l’occasione inaugura due nuove sale) resta sospesa a mezz’aria e da
lassù cattura e restituisce l’immagine distorta, come una macchina escheriana,
dei visitatori. In molti non sanno resistere e si fotografano, confessando
deliri narcisistici e desiderio di relazione. Non basta loro contemplare
l’opera, vogliono “toccarla”. C’è un bel daffare, tra gli assistenti, per
trattenere inutilmente alcune distinte signore dal fotografarsi conficcate in In
Out (Red), opera
che elabora la struttura formale di una vagina con gli orifizi lucenti e
specchianti. La seduzione è merito dalla resina dipinta e levigata a mano dai
16 assistenti di studio di Kapoor, impiegati per combattere contro le
imperfezioni della materia.
L’opera monumentale è Push-Pull, muro semicircolare di cera rossa
modellato dal passaggio di una lama gigante. Il movimento di questa “livella”
dona alla cera rossa una consistenza particolare: sensuale, violenta e brutale.
La materia è qui butterata, opaca, magmatica e assorbente. È un contraltare
visivo di quelle forme purificate che, come in Drip, paiono distillate dal muro (a
volte dal pavimento), indicando uno spazio che va oltre quello della galleria,
ma che resta segreto, nascosto e “pesante” come un buco nero.
Il vuoto che sta dentro lo si avverte come una vibrazione
immobile. Era già lui il protagonista di un’opera prima, originaria e
fondamentale come Adam (1989): il masso che permetteva di accedere all’abisso attraverso una
semplice finestra scavata nel marmo. L’opera fece conoscere Kapoor in una
mostra tenutasi nel 2000 nella neonata Tate Modern di Londra. Un’altra opera
significativa, in mostra, è Untitled, Perspex Cube, cubo di plexiglas che nel 2001
prendeva il titolo di Space as an object: titolo programmatico di un’opera trasparente e
massiccia, che cattura l’aria nel plexi e pone in evidenza il fascino potente
che lo spazio, in quanto oggetto, suscita in Kapoor.
Una ricerca poi sfociata in Cloud Gate (2004), l’enorme “nuvola” in cui
si rispecchiava l’intera Chicago, o nel sistema di trombe di Widow, esposte nel 2004 da Minini e ora
al Maxxi di Roma.
La mostra si chiude su un catalogo/libro, con il racconto
spiritoso e metafisico di Scarpa, che fa i conti con l’idea di Kapoor. La
letteratura arriva dopo, ma evoca una sintonia fra l’artista e lo scrittore che
Minini, deus ex machina dell’operazione, vuole rilanciare in futuro con altri
progetti.
collaborazione fra arte e letteratura e chiama Tiziano Scarpa a “leggere” il
lavoro dell’artistar anglo-indiano Anish Kapoor (Bombay, 1954; vive a Londra).
Il Premio Strega Scarpa getta una luce radente sull’opera,
attraversando il concetto di “idea”. Le opere di Kapoor sono infatti idee
visive che diventano gorgo mentale, vortice che ingoia ogni espressività. La
creazione del vuoto è il fine ultimo di molti pieni, che Kapoor struttura
seguendo la curvilinearità dello spazio: quasi una traduzione visiva e tattile
della relatività einsteniana.
La sfera con cui si apre la quarta personale da Minini
(che per l’occasione inaugura due nuove sale) resta sospesa a mezz’aria e da
lassù cattura e restituisce l’immagine distorta, come una macchina escheriana,
dei visitatori. In molti non sanno resistere e si fotografano, confessando
deliri narcisistici e desiderio di relazione. Non basta loro contemplare
l’opera, vogliono “toccarla”. C’è un bel daffare, tra gli assistenti, per
trattenere inutilmente alcune distinte signore dal fotografarsi conficcate in In
Out (Red), opera
che elabora la struttura formale di una vagina con gli orifizi lucenti e
specchianti. La seduzione è merito dalla resina dipinta e levigata a mano dai
16 assistenti di studio di Kapoor, impiegati per combattere contro le
imperfezioni della materia.
L’opera monumentale è Push-Pull, muro semicircolare di cera rossa
modellato dal passaggio di una lama gigante. Il movimento di questa “livella”
dona alla cera rossa una consistenza particolare: sensuale, violenta e brutale.
La materia è qui butterata, opaca, magmatica e assorbente. È un contraltare
visivo di quelle forme purificate che, come in Drip, paiono distillate dal muro (a
volte dal pavimento), indicando uno spazio che va oltre quello della galleria,
ma che resta segreto, nascosto e “pesante” come un buco nero.
Il vuoto che sta dentro lo si avverte come una vibrazione
immobile. Era già lui il protagonista di un’opera prima, originaria e
fondamentale come Adam (1989): il masso che permetteva di accedere all’abisso attraverso una
semplice finestra scavata nel marmo. L’opera fece conoscere Kapoor in una
mostra tenutasi nel 2000 nella neonata Tate Modern di Londra. Un’altra opera
significativa, in mostra, è Untitled, Perspex Cube, cubo di plexiglas che nel 2001
prendeva il titolo di Space as an object: titolo programmatico di un’opera trasparente e
massiccia, che cattura l’aria nel plexi e pone in evidenza il fascino potente
che lo spazio, in quanto oggetto, suscita in Kapoor.
Una ricerca poi sfociata in Cloud Gate (2004), l’enorme “nuvola” in cui
si rispecchiava l’intera Chicago, o nel sistema di trombe di Widow, esposte nel 2004 da Minini e ora
al Maxxi di Roma.
La mostra si chiude su un catalogo/libro, con il racconto
spiritoso e metafisico di Scarpa, che fa i conti con l’idea di Kapoor. La
letteratura arriva dopo, ma evoca una sintonia fra l’artista e lo scrittore che
Minini, deus ex machina dell’operazione, vuole rilanciare in futuro con altri
progetti.
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nicola davide angerame
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Anish Kapoor
Galleria
Massimo Minini
Via Apollonio,
68 – 25128 Brescia
Orario: da
lunedì a venerdì ore 10.30-19.30; sabato ore 15.30-19.30
Ingresso
libero
Catalogo
disponibile
Info: tel. +39
030303034; fax +39 030392446; info@galleriaminini.it; www.galleriaminini.it
[exibart]
Massimo Minini è proprio bravo. Peccato per alcune scelte un po’ frettolose su alcuni giovani. Con semplicità riesce ad aprire ad altri settori, evitando scenari chiusi e anacronistici. Non stupisce che al motto “largo ai giovani” stia tenendo uno spazio su flash art. Sarà un paese per vecchi, ma a volte i “vecchi” (termine bruttino ma per intenderci) sono meglio dei giovani. Non voglio esagerare ma vedendo alcune proposte “ggiovani” sembra così, a volte.
Purtroppo servirebbero comunque i giovani. Servirebbe una certa inquietudine. Piuttosto che giovani attenti a compiacere e rassicurare la platea. Ovviamente ci sono responsabilità divise al 50%: certi operatori maturi non vanno oltre il proprio compitino, perpetuando un clima di precarietà che annichilisce i giovani.
idea splendida quella di Massimo Minini: peccato in questo caso per la mediocre sensibilità di Scarpa