È venerdì sera. Nella galleria di Carla Sozzani si stanno preparando gli ultimi dettagli. L’indomani si inaugurano contemporaneamente due mostre. I protagonisti delle esposizioni sono una coppia di artisti-fotografi molto diversi tra loro. A tratti opposti, quasi fino al parossismo. È necessario, quindi, saper disporre gli spazi in modo da bilanciare le estraneità, le contraddizioni e i possibili stridori in-forse, quelli in grado di nascere da questo incontro. Da questa prova di avvicinamento fra due culture parallele e in temibile contraddizione. “
Alle pareti della sala più grande sono appena stati disposti i collage fotografici di
Masao Yamamoto (Gamagori, Giappone, 1957). L’artista, vicino al proprio assistente, sta ultimando gli accostamenti delle foto, distribuite con sapienza alle pareti. Invece, nella stanza più piccola, più raccolta, è già pronta la breve rassegna dedicata al surreale
Gilbert Garcin (Marsiglia, 1929).
L’anziano signore marsigliese è il primo ad accoglierci. Accompagnato dalla moglie, che lo segue con curiosità, Garcin risponde volentieri a tutte le domande. In piedi, proprio davanti alla serie eteroclita dei collage fotografici. La
comédie sérieuse dei suoi bianchi e neri è sempre stata una passione amatoriale che solo di recente ha assunto un riconoscimento e una valenza artistica. La capacità simbolica e speculativa di questa mostra milanese (
Allegorie) è delicata, ma preponderante. Nelle foto di Garcin l’esistenza di un primo e di un secondo piano è completamente sfalsata.
Il mondo fittizio dei suoi collage fotografici ingigantisce elementi e rimbicciolisce oggetti in continuo cambio di scala e di ruolo.
“Uso il registro simbolico per far riflettere su alcune situazioni della vita, ma non sempre pretendo di fornire una sola lettura giusta delle mie opere”. In questo modo il fotografo racconta le simmetrie, le interpretazioni e le simulazioni messe in atto all’interno delle sue
petites piéces. Soffioni giganti sovrastano uomini con addosso un cappotto. Coppie guardano la luna appesi al cielo. Uomini e donne interpretano la dipersione dei frantendimenti, attraverso strade che si separano, binari che si intrecciano e panorami che si stendono all’infinito. Nella visione dell’assurdo, la controfigura (il soggetto col soprabito) di Monsieur Garcin attraversa la tecnica del collage senza sofisticazioni digitali. “
L’immagine deve rimanere come è stata pensata nella testa dell’uomo,puntualizza il fotografo, di modo da restituire il senso ad un reale che non ponga barriere al ricordo e al fiorire dell’immaginario”.
Di natura medidativa e più
gestuale, invece, l’esposizione di Masao Yamamoto. Anche il fotografo giapponese si mostra diponibile ad una piccola visita dei propri lavori in completa anteprima. E concede il proprio interprete per una breve presentazione dei ritratti alle pareti. Il formato di ogni lavoro varia, rimanendo sempre sulle piccole dimensioni. “
Tenendole in mano, posso applicare le foto al muro con un gesto che coinvolge tutto il corpo”, spiega Yamamoto.
La natura dei soggetti catturati, invece, di volta in volta, si modula, cangiando lentamente. Paesaggi nella neve, riflessi lisci, nudi intensissimi e bordure nel bosco circondano lo spettatore con un alone eburneo. Quasi senza fissità, ogni immagine è il risultato di un movimento su se stessa, diventando la manifestazione di un processo d’invecchiamento. “
I miei lavori sono il frutto di concentrazione e dispersione, direzioni queste che creano un’apertura, un varco verso una dimensione protetta dell’esistenza”. Da visitare, inoltre, l’installazione al centro della sala, una riserva protetta per chi ancora non sa come trascendere dalla visione di quello che c’è.
ginevra briamostra visitata il 7 settembre 2007