La porta della galleria è sbarrata: attraverso uno spioncino s’intravede un grande orso di chewing-gum rosa che custodisce l’entrata. Basta però attraversare la soglia per veder dispiegato un mondo polarizzato tra alcuni degli animali simbolo della lotta ambientalista e i rifiuti della moderna società “civile”.
Maurizio Savini (Roma, 1962) ha trasformato lo spazio della galleria in un luogo asettico dove si avverte un senso straniante di quiete addomesticata. Camminando sotto gli sguardi scrutatori di creature fatte di gomma da masticare fissata con antibiotico, formaldeide e paraloid, ci si sente così avvolti da un’atmosfera che, seppur fiabesca, porta con sé la denuncia che l’artista esprime nei confronti del problema dell’estinzione di alcune specie animali.
Neppure la stessa natura, nel suo ultimo atto di ribellione contro la piaga dell’inquinamento, può esser ammansita: l’erba e le piante, prevaricati da lattine vuote, bottiglie di plastica schiacciate, siringhe usate e vecchie tastiere del computer, sembrano quasi mutarsi a loro volta in elementi ibridi, capaci di fagocitare gli stessi animali. È il degrado di tutte la materie, organiche e inorganiche, in un connubio di violenza e fantasia. L’olfatto, senso particolarmente sollecitato dal materiale di cui sono costituiti i lavori, rievoca suggestioni legate all’infanzia e segue una strada che porta lo spettatore a riscoprire una dimensione pacificata tra l’uomo e la natura.
Se al cerbiatto, infatti, l’artista ha regalato tratti disneyani, il coniglio fa immediatamente pensare al paese delle meraviglie di Lewis Carroll, mentre gli aculei dell’istrice sembrano innocui aghi che mai potrebbero pungere e il lupo, a cui è stato dedicato un vano della stanza sotterranea della galleria, esprime più la voglia di evadere che il senso di paura a cui è tradizionalmente associato.
Destined for Nothing, titolo preso in prestito da una canzone dei Bad Religion -il cui leader, Greg Graffin, è anche professore di Scienze della vita alla University of California- affronta quindi una problematica sociale cruciale del nostro tempo, proponendo opere che, per il materiale scelto e per il suo colore rosa acceso, oltre che per l’immediata riconoscibilità di ciò che viene rappresentato, diventano “pop per antonomasia”. Savini alleggerisce così la pressione con la sua malleabile materia scultorea, senza tuttavia tralasciare che
“le catastrofi ambientali sono la sciagura che incombe su di noi in un futuro oramai non più lontano; nonostante tutti gli sforzi collettivi per rimuovere tale prospettiva, nonostante tutte le strategie sviluppate per rassicurarci e tranquillizzarci, nel frattempo questa convinzione si è consolidata nelle coscienze della maggior parte delle persone e costituisce il cupo sottofondo del senso della vita per la giovane generazione dei paesi più sviluppati dove la gente lavora di più, guadagna di più, spende di più e contrae sempre più debiti”.