L’universo parallelo di Sarah Sze (1969) si articola in tanti micro-mondi assemblati che formano un unico organismo vivente ed artificiale. La scultura site-specific questa volta si sviluppa dall’alto: sospesa dal soffitto come una tela di ragno avvolge la stanza tra impalcature di tubi e fili, ricalcando a rovescio il modello di The Triple Point of Water esposto al Whitney di New York nel 2003, che si sviluppava dal basso verso l’altro. Sfidando la gravità l’artista costruisce da oggetti d’uso quotidiano strutture architettoniche in cui l’acqua si trova nei suoi tre stati: solido, liquido e gassoso. Un giardino fantastico, un ecosistema in cui l’acqua, la luce dei faretti (come un sole artificiale) e l’aria dei ventilatori danno linfa vitale alle vasche d’acquario e alle gabbie.
Ogni elemento ha un’esistenza distinta e, allo stesso tempo, collegata dalla rete dei tubi alle altre parti dell’insieme. Le piattaforme di polistirolo della scultura sono disposte orizzontalmente sulle tubature verticali, attraverso cui scorre l’acqua che in certi punti deborda, deviando il suo percorso per innaffiare una pianta o riempire bicchieri e acquari. Oltre al manto d’erba artificiale, la vegetazione naturale cresce sopra i ripiani attraverso micro-ambienti, che fanno da serra, mentre radici legnose e piante scolpite in polistirolo si espandono e si avviluppano come una foresta tutt’intorno. Alla base si trovano delle canne ricolme di sale, come fosse quanto resta di acqua marina evaporata.
Piante finte convivono con piante vere e bulbi, l’acqua scorre riproducendo il suono di una fontana, mentre sul polistirolo si posa in forma di neve. Un “pianeta che preserva la vita”, originato dall’universo quotidiano ma che è altro da esso, artificioso labirinto di vetro e plastica, fisicamente inaccessibile ma trasparente alla vista.
Nelle “isole” di polistirolo o poliuretano verde isolante, si riconosce un angolo di vita quotidiana, la nostra scrivania con una lampada accesa e delle bottiglie d’acqua ma, osservando i modellini di montagne innevate, sembra di distinguere un plastico in miniatura di un paesaggio naturale sconfinato, o di un continente alla deriva.
Come nei giardini zen, l’essenzialità minimale e gli spazi vuoti invitano alla riflessione, contrastando con l’intricato assemblaggio di oggetti di svariata natura che compongono la scultura.
Queste delicate sculture aeree per cui Sarah Sze è stata paragonata a Calder sono raccolte in una dimensione vitale autosufficiente. L’aspetto ludico e stravagante è insito in materiali semplici e precari: aghi, bicchieri di carta, vasetti, bottiglie vuote, fiammiferi, piume. Che trascendono la propria forma e acquistano una nuova funzione “strutturale”.
francesca ricci
mostra visitata il 16 dicembre 2004
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