La presentazione più completa e puntuale che si possa scrivere della mostra oggi al Castello Sforzesco è rappresentata dal testo introduttivo firmato dal curatore Giovanni Romano in catalogo. Seguiamo allora volentieri le parole di quello che, a buon diritto, può autodefinirsi il “padre nobile, sulla gran scena della scultura lignea lombarda”.
La mostra si divide in tre sezioni che corrispondono a tre gruppi significativi di opere “che ruotano intorno al lungo tramonto del gotico in Lombardia, al radicale rinnovamento stilistico nell’ultimo quarto del Quattrocento e al trionfo della ‘maniera moderna’ alla soglia del Cinquecento”. Il primo atto, curato da Francesca Tasso, focalizza l’attenzione sul cantiere internazionale del duomo e cerca di render conto delle conseguenze dello spostamento del baricentro culturale da Pavia, sede della corte di Galeazzo II e di Bianca Savoia, a Milano. L’interno della goticissima macchina del duomo doveva rilucere molto più degli ori del gotico lombardo di quanto il marmo ricamato in età borromaica lasci immaginare. L’abside, ad esempio, doveva essere in rame sbalzato, come testimonia la chiave di volta con il Dio Padre, opera di Beltramino de Zuttis, protagonista dell’oreficeria milanese del primo Quattrocento, che apre l’esposizione. Sicuramente non mancavano realizzazioni in legno e accanto al de Zuttis sono diverse le figure di intagliatori e scultori di cui abbiamo memoria. Su tutte emergono alcune famiglie di scultori in legno come quelle dei pavesi Da Surso, che “sostengono per oltre settant’anni le ragioni della cedevole eleganza tardogotica” e dei Lupi, Baldino e Bongiovanni.
Il secondo atto, diretto da Raffaele Casciaro, vede entrare in scena la famiglia degli scultori e pittori De Donati, i quali, insieme ai del Maino -protagonisti del terzo atto a cura di Marco Albertario- costituiscono il fronte rampante della nuova scultura lignea lombarda. Il capolavoro che segna il passaggio a questa modernità è l’altare di Santa Maria del Monte a Varese, rappresentato in mostra
Due occasioni uniche sono rappresentate dalla possibilità di vedere per la prima volta riunite le incantevoli storie di S. Pietro Martire dei De Donati, disperse in vari musei, e di veder un’opera tanto significativa per comprendere i rapporti e gli scambi tra scultura in legno e pittura come l’Altare della Pietà di Orselina, opera dei De Donati e di un pittore leonardesco. Sopratutto nella sua nuova sistemazione, che estraendo il corpo centrale con il Compianto dall’ancona, rialzata come doveva essere in originale, ridona alle figure e a tutta la composizione un respiro capace di farci comprendere l’intensa teatralità che doveva stare alla genesi di queste opere.
stefano bruzzese
mostra visitata il 25 ottobre 2005
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