Tracciare diagrammi, dare un cenno della propria presenza,
fornire uno stimolo visivo, lanciare un segnale sonoro. Tutto questo è “fare
segno”.
Claire Chalet (Francia, 1968; vive a Parigi e Milano) condensa queste
manifestazioni in dipinti a olio calibrati, piccoli disegni puerili agiti
d’istinto e monotipi filiformi che abbozzano un cosmo incipiente, all’esordio
nella sua esistenza. Un mondo che si sviluppa protetto, incluso in un altro,
nel liquido amniotico della realtà.
La linea curva, svagata, richiude forme tonde e ovali che
ricordano il ventre femminile, e le affida a flebili linee d’orizzonte:
l’emersione di una “scena primaria”, sospesa in un incanto incorrotto,
costruisce brevi visione estatiche, immagini “
prima della rappresentazione”, che estromettono senza violenza
un prezioso nucleo interiore, aprendone fessure e scorci.
Il mondo pittorico di Chalet si genera nel contrasto tra
luce e oscurità: su fondali lievemente increspati, dove l’immobilità è segnata
da piccoli vortici, si muove una folla di oggetti svaniti, in continua
modulazione, allungati o gonfiati.
Ed è proprio questa modulazione a far
gemmare nuove forme: l’astrazione si àncora a una morfologia del reale
lievemente trasfigurata da quel fenomeno di condensazione che Freud attribuiva
alla vita psichica del sogno.
Chalet si confronta col proprio “interno”, ovvero con la
necessità di ritornare a un
reale illimitato che non si esaurisce in ciò che
abbiamo sotto gli occhi, ma che mette all’opera la potenza espansiva
dell’immaginazione. Si inaugura così un nuovo luogo e una nuova gerarchia per
gli elementi naturali, gestita dalla poetica dell’
entre: un segno pittorico che si
avvicina all’essere delle cose per scarti, gravitando attorno ai loro bordi,
blandendoli. Come un processo di conoscenza che perdura in una
allure di estraneità.
La difficile riconoscibilità degli oggetti mondani e la
loro ibridazione onirica con elementi aniconici producono una figurazione
“perturbata”, dove il reale coabita con il possibile e il virtuale. Nella
poetica della fessura che Chalet mette in immagini, l’uomo diventa una
serratura, un ingresso, un’apertura attraverso il quale operare un’indagine
psicologica dell’infinito simile alla psicanalisi degli elementi e delle forze
di Bachelard.
L’immaginazione della materia si sposa con un sapiente uso
di citazioni e debiti iconografici: la matrice surrealista come veicolo del
sogno; la lezione – inconsapevolmente appresa – di
Cucchi e
Clemente sulla potenzialità trasformativa
delle forme primitive e del colore;
la levità e l’anatomia
fogliacea degli uomini volanti di Jean-Michel Folon purificata dalle valenze illustrative, e un’organizzazione spaziale
delle tele ancora una volta tipiche di surrealismo e transavanguardia.Quello di Chalet è dunque più di un inconsapevole
onirismo. È una sorta di
realismo imperfetto, ben radicato nella storia
artistica del Novecento, che convoca la
rêverie nella consistenza del vero. Grazie
a un bagaglio figurativo e vagamente simbolico che cerca un bilanciamento con
l’astrazione.