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22
gennaio 2010
fino al 29.I.2010 We can be heroes Milano, 1000eventi
milano
La Fondazione Bevilacqua La Masa e la Naba: da qui provengono gli otto artisti selezionati da Andrea Bruciati. Per una mostra che rivela nuovi talenti. Un appuntamento fuori dal coro. E perciò particolarmente interessante...
“Inizio a leggere questo libro
con profonda tristezza o meglio, senza speranza. Quando l’avrò finito, come
sarò?”. Così, su
un retro di pagina di una copia di Avere o Essere di Erich Fromm, edizione in
brossura Arnoldo Mondadori, del 1977, abbastanza rovinata. Diego Marcon presenta il libro in fotografia:
sopra sta il fronte, sotto la doppia pagina in cui c’è l’appunto. La fotografia
è nitida. Il libro è tutto bianco e nero e il fondale sul quale l’oggetto è
stato fotografato ha una tonalità grigio-azzurra.
L’interesse del lavoro di Marcon
non sta certo nell’eleganza delle dieci immagini che ha raccolto e presentato
incorniciate, una a fianco all’altra, né nel tipo di libri scelti. Sta nel modo
in cui quei testi lavorano con i libri e ci mostrano la sua molteplice
dimensione, partendo dall’angolatura del soggetto che lo ha posseduto, almeno
per un momento, annotando un’espressione di sé. In alcuni casi si tratta di
dediche: “Alla cara Isa con profonda amicizia e perché le ricordi il sorriso
della sua collega Silvia S. 15 gennaio gennaio 1951” oppure “La mamma alla sua
cara bambina perché sia sempre buona Natale 1950”.
Sono luoghi d’intreccio di
significati culturali, talvolta violenti (la mamma), talvolta indulgenti,
patetici (Fromm) o ideologici (l’amica, nel modo in cui si rivolge all’amica).
Per ogni combinazione fra testo e libro siamo incoraggiati a riflettere sulla
relazione che possiamo proiettare dal nostro vissuto, tra il libro, il suo
titolo, il suo pseudo-contenuto (non li stiamo leggendo quei libri, sono
soltanto immagini fotografate) e la frase.
L’anonimato dell’autore della
frase, le condizioni dell’usato che contraddistinguono ogni libro, la grafia
della scrittura aggiungono dettagli formali che arricchiscono il valore
dell’opera.
La mostra We can be heroes just
for one day non è
certo riconducibile al lavoro di Diego Marcon né ha la pretesa di avere una
unitarietà. È dedicata ad artisti che hanno studiato in due distinte accademie.
Il pregio del curatore, Andrea Bruciati, è la qualità con la quale ha scelto
gli artisti che presentano il loro lavoro.
Vediamo un altro esempio: la
grande tavola di Marco Bongiorni, dedicata a Ian Tweedy. È un ritratto composito nel
quale Bongiorni studia, più del suo collega Tweedy, il suo ritratto, ne
analizza il significato. Il ritratto non è quindi il risultato del tentativo di
rendere il volto di un artista in immagine, ma il risultato di una composizione
d’immagini che egli stesso analizza e sfrutta per comporre un’opera.
Il quadro di Bongiorni è quindi
composto da teste disegnate in modi differenti, con tecniche anche leggermente
diverse, e da alcuni tasselli di altro genere (per esempio una bicicletta
armata) che richiamano il lavoro di Tweedy. Non sono le raffigurazioni del volto
di Tweedy a fare il ritratto, ma il colore della carta usata, il modo di
trattare la figura umana e le immagini d’archivio che accompagnano i disegni,
tutte componenti del lavoro di Tweedy e del lavoro di Bongiorni. Il ritratto è
il risultato della relazione tra Bongiorni e Tweedy.
con profonda tristezza o meglio, senza speranza. Quando l’avrò finito, come
sarò?”. Così, su
un retro di pagina di una copia di Avere o Essere di Erich Fromm, edizione in
brossura Arnoldo Mondadori, del 1977, abbastanza rovinata. Diego Marcon presenta il libro in fotografia:
sopra sta il fronte, sotto la doppia pagina in cui c’è l’appunto. La fotografia
è nitida. Il libro è tutto bianco e nero e il fondale sul quale l’oggetto è
stato fotografato ha una tonalità grigio-azzurra.
L’interesse del lavoro di Marcon
non sta certo nell’eleganza delle dieci immagini che ha raccolto e presentato
incorniciate, una a fianco all’altra, né nel tipo di libri scelti. Sta nel modo
in cui quei testi lavorano con i libri e ci mostrano la sua molteplice
dimensione, partendo dall’angolatura del soggetto che lo ha posseduto, almeno
per un momento, annotando un’espressione di sé. In alcuni casi si tratta di
dediche: “Alla cara Isa con profonda amicizia e perché le ricordi il sorriso
della sua collega Silvia S. 15 gennaio gennaio 1951” oppure “La mamma alla sua
cara bambina perché sia sempre buona Natale 1950”.
Sono luoghi d’intreccio di
significati culturali, talvolta violenti (la mamma), talvolta indulgenti,
patetici (Fromm) o ideologici (l’amica, nel modo in cui si rivolge all’amica).
Per ogni combinazione fra testo e libro siamo incoraggiati a riflettere sulla
relazione che possiamo proiettare dal nostro vissuto, tra il libro, il suo
titolo, il suo pseudo-contenuto (non li stiamo leggendo quei libri, sono
soltanto immagini fotografate) e la frase.
L’anonimato dell’autore della
frase, le condizioni dell’usato che contraddistinguono ogni libro, la grafia
della scrittura aggiungono dettagli formali che arricchiscono il valore
dell’opera.
La mostra We can be heroes just
for one day non è
certo riconducibile al lavoro di Diego Marcon né ha la pretesa di avere una
unitarietà. È dedicata ad artisti che hanno studiato in due distinte accademie.
Il pregio del curatore, Andrea Bruciati, è la qualità con la quale ha scelto
gli artisti che presentano il loro lavoro.
Vediamo un altro esempio: la
grande tavola di Marco Bongiorni, dedicata a Ian Tweedy. È un ritratto composito nel
quale Bongiorni studia, più del suo collega Tweedy, il suo ritratto, ne
analizza il significato. Il ritratto non è quindi il risultato del tentativo di
rendere il volto di un artista in immagine, ma il risultato di una composizione
d’immagini che egli stesso analizza e sfrutta per comporre un’opera.
Il quadro di Bongiorni è quindi
composto da teste disegnate in modi differenti, con tecniche anche leggermente
diverse, e da alcuni tasselli di altro genere (per esempio una bicicletta
armata) che richiamano il lavoro di Tweedy. Non sono le raffigurazioni del volto
di Tweedy a fare il ritratto, ma il colore della carta usata, il modo di
trattare la figura umana e le immagini d’archivio che accompagnano i disegni,
tutte componenti del lavoro di Tweedy e del lavoro di Bongiorni. Il ritratto è
il risultato della relazione tra Bongiorni e Tweedy.
vito calabretta
mostra visitata il 12 novembre
2009
dal 12 novembre 2009 al 29
gennaio 2010
We can be
heroes: just for one day
a cura di Andrea Bruciati
Galleria 1000eventi
Via Porro Lambertenghi, 3 (zona Isola) – 20159 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 14-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0266823916; info@1000eventigallery.it; www.1000eventigallery.it
[exibart]
E questa sarebbe la recensione della mostra?
Ma per caso l’autore è amico di Marcon e Bongiorni? O nessuno gli ha spiegato come si parla di una collettiva?
Certo che una volta i collaboratori erano selezionati molto meglio – O tempora o mores…
Veramente una mostra fatta bene, bellissimi i lavori di Bongiorni e Pecoraro; finalmente si vede in giro un po di pittura di giovani artisti.
Qualcosa di nuovo e originale.
Complimenti
Bella mostra, complimenti.
Soprattutto i lavori di Bongiorni e Pecoraro.
Fà piacre vedere ogni tanto opere di giovani artisti!
Mostra molto interessante, uno spaccato di realtà ancora non visto.. grazie!
Complimenti, una mostra davvero interessante ricca di impegno e sentimento da parte degli artisti.
grazie e saluti
spazi allestiti bene e lavori interessanti.
complimenti
bella mostra, un po’ d’aria nuova.. alcuni lavori particolarmente interessanti.
Finalmente una mostra originale, spazio espositivo piccolo ma ben strutturato. Molti lavori davvero interessanti, non è sempre facile poter trovare a milano opere di qualità fatte da giovani artisti.
Interessante mostra, bravo il curatore e bello anche il catalogo!