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La Transavanguardia ha risposto in termini contestuali alla catastrofe generalizzata della storia e della cultura, aprendosi verso una posizione di superamento del puro materialismo di tecniche e nuovi materiali e approdando al recupero dell’inattualità della pittura, intesa come capacità di restituire al processo creativo il carattere di un intenso erotismo, lo spessore di un’immagine che non si priva del piacere della rappresentazione e della narrazione”. Così, nel 1979, Achille Bonito Oliva presentava la sua nuova creatura, l’ultimo grande gruppo nazionale italiano a sfondare i confini del Bel Paese per conquistare il mondo.
A quasi trent’anni di distanza,
Enzo Cucchi (Morro d’Alba, 1949; vive ad Ancona e Roma) rimane fedele alle linee guida del suo mentore e nella personale milanese è ancora una volta la pittura rappresentativa e figurativa a farla da padrone. Opere piccole, in cui protagonista assoluto è il tanto agognato ritorno alla natura, alla dimensione pastorale, alla tradizione della campagna italiana. Teschi come memento mori dell’arte contemporanea, orecchie che subito fanno pensare a
Van Gogh, ma anche al significato popolare di “essere attento”, affiancano animali simbolo del paesaggio nostrano: lupi, mucche, pecore. Tutti abitanti dell’immaginario collettivo dell’infanzia, simboli di vizi e virtù ancestrali.
Il pittore è presente in ogni singolo quadro col suo cavalletto, sopraffatto dalla natura, spesso troppo piccolo rispetto a essa, addirittura inglobato dalla sua stessa rappresentazione. Il quadro rimane il campo di battaglia tra due principi opposti, l’uomo e l’ambiente, il naturale e l’artificiale, la figurazione e il simbolo. Innegabili il rapporto stretto con
Giovanni Testori, l’ispirazione di
Giovanni Segantini, un forte legame con il passato, la nostalgia per un mondo diverso e irrecuperabile ai giorni nostri. I colori accesi sono gli stessi degli anni ‘80. I temi, sempre quelli, come se il tempo non fosse cambiato e il presente non fosse stato in grado di scalfire l’animo del pittore.
Per questo,
solo l’artista italiano è malinconico. Perché probabilmente è rimasto l’unico a non riuscire a volgere i propri pensieri al futuro, invischiato in un passato pesante e difficile da scrollarsi di dosso, a cui non rimane che guardare con rimpianto. Perché, come recita la legge di Grimes, “
la nostalgia è rendersi conto che le cose non erano insopportabili come sembravano allora”. E come diceva Herman Josef Abs, “
neanche il futuro è più quello di una volta”.
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è difficile continuare a creare con la pancia piena. Il successo ti da una cosa e te ne toglie un'altra e così "ammazza" la creatività. Perdi gli stimoli al nuovo, non vuoi più rischiare e così ti prende la paura di non riuscire più a proseguire. E allora diventi l'ombra di te stesso. Invece se sei un "grande" ti fai scivolare addosso il successo e allora risci a continuare a volare senza "pesi" e neanche la vecchiaia ti ferma, ma solo la morte. Ma questo lo possono vedere i posteri, noi invece possiamo assistere al declinio dei mediocri!
Opere assolutamente mediocri o comunque sproporzionate rispetto al loro costo.