Organico, di nuovo. Contrordine sul fronte della rappresentazione figurativa del corpo umano e delle sue implicazioni estetiche. Non più scomposto, lacerato, irrimediabilmente torturato da dolori strazianti, fisicamente e moralmente. Ferite subìte, ma ricomposte. Oltrepassate o in procinto di esserlo. Senza tuttavia dimenticare le cicatrici. Questo il filo rosso che, in un’ideale ontologia del corpo, accomuna i quattro giovani artisti scelti per la collettiva. Secondo il curatore Stefano Castelli, sono interpreti di un messaggio che sarebbe errato definire semplicemente positivo; piuttosto, di maturazione. Di riflessione su quello che è stato -l’estetica del post-umano, nella fattispecie- e di consapevole passaggio al di là. Il loro modo di interpretare il corpo umano non prevede più una disintegrazione, ma una ricomposizione. Non più una lacerazione, ma un superamento. Ciascuno, naturalmente, secondo i propri strumenti espressivi.
Gianni Cuomo ripropone il proprio affascinante universo in bianco e nero fatto di sculture e pittura. I corpicini umanoidi, con la superficie solcata da lettere e simboli di un alfabeto incomprensibile ai più, non smettono di agganciare lo sguardo dello spettatore a una riflessione su sé stesso e sul destino dell’uomo. Potrebbero essere ironiche, addirittura divertenti, queste figure agili in teche di vetro. Eppure non riescono e non vogliono esserlo. Sono, piuttosto, il sintomo di un corpo sofferto e comunque “unito a sé stesso”. Come lo sono le tavole piatte in legno, che spezzano e allo stesso tempo uniscono parti di volto quasi primitive. Sul versante opposto, almeno da un punto di vista cromatico, il lavoro di
Marta Sesana, decisamente una gradita sorpresa in termini di freschezza e ironia. La sua pittura crea personaggi che sembrano formati con il pongo: plastici, coloratissimi, fortemente volumetrici.
Non belli, ma decisamente
ri-copmposti e divertenti. Più lineari ed eleganti le scelte di
Leonardo Greco, per il quale il corpo si concentra nei volti in primo piano, di taglio cinematografico, tracciati con una pennellata larga e infantilmente intensa. Una vena malinconica percorre le espressioni femminili su fondo nero: alle spalle, forse, la lacerazione suddetta. Anche
Marco Mazzoni ama soffermarsi sui volti dei personaggi ritratti. Lo fa però con un taglio realista e minuzioso, che traccia con le matite colorate e la pazienza di un certosino i primi piani di persone quasi comuni. Assolutamente, decisamente, ricomposte, se non fosse per quelle rughe che solcano il viso o per quel contorno lasciato aperto al dubbio.
Jean-Luc Nancy vede il corpo come l’esposizione dell’io, il suo rendersi visibile e tangibile. Quindi, immediatamente, il suo esistere in senso etimologico. Questa piccola collettiva sembra darne atto a livello artistico: riproporre il corpo integro, (ri)composto, significa anche ricominciare a esserci come uomo in pittura. Ma non è, e non può essere, un ritorno alla tradizione. È solo una diversa interpretazione del presente.