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Ogni storia racchiude in sé il seme di altre storie”, avverte
Jason Jagel (Boston, 1971; vive a San Francisco) all’inizio della mostra. Questa convinzione è illustrata dall’artista americano con una serie di lavori in cui lo spazio si sovraccarica di un caleidoscopio di elementi grafici e figurativi dai calibrati valori cromatici.
L’ispirazione iniziale è quasi sempre di natura autobiografica e si sviluppa principalmente intorno a tre temi: la famiglia, con la centralità del rapporto che lega il pittore alle sue due figlie; l’interazione con la natura; la passione per la musica.
Queste tematiche costituiscono il cardine a partire dal quale Jagel costruisce e sviluppa un universo visivo in cui s’intrecciano svariate fonti figurative, dal mondo del fumetto e dei cartoni animati a quello del disegno infantile e della fiaba, dalla cultura visuale del cinema a quella della pubblicità , f
ino all’orizzonte urbano dell’estetica dei graffiti e degli sticker.
Lupi antropomorfi che fumano minacciosi, uomini con in testa un vinile che funge da aureola, dischi volanti, scritte che annunciano l’esibizione di gruppi jazz, alberi autunnali, frasi e parole sparse: tutti questi elementi concorrono a costituire un repertorio figurativo vasto e impossibile da cogliersi nella sua interezza a un primo sguardo. Opere dove le nette linee di contorno dei disegni stilizzati coesistono con la stesura bidimensionale del colore.
In alcuni casi, le componenti di natura più propriamente grafica, come le scritte, sembrano fronteggiare i disegni e le campiture di colori in due schieramenti contrapposti; altre volte, invece, si compenetrano in maniera più omogenea, dando vita a un maggior equilibrio compositivo o enfatizzando la vena ironica dell’artista statunitense.
Jagel individua i suoi modelli di riferimento in
Josef Albers,
Kurt Schwitters e
Bruegel il Giovane. L’esponente del Bauhaus per i suoi esercizi grafici di visualizzazione e concentrazione, l’artista tedesco in virtù della sua idea di flusso di coscienza come risultato di un lavoro disciplinato, mentre l’affinità con Bruegel risiede nella volontà di costruire un universo autonomo a partire dall’accumulo di dettagli.
Nella maggior parte dei casi non è possibile rinvenire una linea narrativa esplicita, e gli elementi delle composizioni sono spesso intenzionalmente articolati secondo rapporti di analogia formale o concettuale misteriosi e indecifrabili. Per cui l’artista non consente allo spettatore di penetrare a fondo le strutture e i significati che presiedono alla costruzione dei suoi mondi pittorici.
Si può soltanto giungere a un grado intermedio. Jagel sottolinea così la distanza che sussiste tra visione e comprensione.