La più famosa giovane fotografa contemporanea giapponese è una ragazza smilza dall’aspetto timido e dimesso, che intervistata il giorno dell’inaugurazione presso la Galleria Sozzani risponde appena, accennando un sorriso. Quali sono i tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento? Oh, è difficile dirlo…. Ti piace l’Europa? Sì, soprattutto per il cibo…. Rinko Kawauchi (1972) sembra la classica ragazza della porta accanto e i suoi lavori sono incentrati sugli affetti e sui legami tra esseri umani e con la natura. Le fotografie in mostra sono immagini pure di leggerezza e candore, permeate da una luce quasi accecante, fatte di pulizia, rigore compositivo e anelito alla perfezione. A volte un filo di trasgressione attraversa gli scatti più arditi, incentrati sui temi della nascita, della sofferenza e della morte.
La mostra, già presentata presso la Fondazione Cartier a Parigi, racchiude in realtà tre gruppi di opere ben distinte, anche se legate dal comune denominatore del tema familiare. Aila, il titolo dell’esposizione, in turco significa proprio “famiglia”. Una serie di scatti diretti, precisi ed emozionanti nella loro ricercata semplicità. Immagini dedicate al mondo naturale nelle sue infinite forme: animali, insetti, mari, alberi. Soggetti messi spesso in rapporto con la vita umana, per esprimere i legami universali che uniscono tutte le creature viventi (che formano anch’esse una famiglia). Così il cordone ombelicale del cagnolino richiama quello del neonato, mentre lo scintillio dell’acqua limpida assomiglia al riflesso di una vetrata illuminata dal sole. Si sottolineano i passaggi fondamentali dell’esistenza: la nascita, con l’uovo che si spezza liberando il pulcino, e così di seguito fino alla tragica fine della vita.
In The eyes the ears le immagini evocano i suoni che rappresentano come in potenti versi onomatopeici. Lo scrosciare della pioggia, il ronzio di un insetto, la risata di un bimbo. In Cui cui i suoni si fanno davvero sentire. Nel video istantanee della famiglia dell’artista sono accompagnate dal canto dei passeri, uccellini che amano vivere in gruppo. Le fotografie sono state raccolte negli scorsi dieci anni e non rispettano un ordine cronologico, assimilandosi al fluire incontrollato dei ricordi.
vera agosti
mostra visitata il 9 settembre 2006
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bellissimo!! Il cocomero è stato mangiato, resta solo solo la buccia!! esprime il senso della profonda crisi esistenziale contemporanea: l'uomo si sente così: vuoto, finito: come una buccia di cocomero..ma anche la metafora del mondo dell'arte: siamo alla frutta: e per di più sono rimaste solo le bucce, che genio! che intuito: bellissimo: da non perdere!!