Un’impalcatura, un ponteggio da costruzione, occupa in altezza lo spazio in fondo della prima sala della galleria. All’interno, la musica di un organo risuona per tutto l’ambiente e quasi rimbomba. La scelta di questo strumento e del tipo di melodia fa pensare a un rito religioso e la posizione dell’allestimento è la corrispettiva di un altare all’interno di una chiesa. In effetti, il procedimento mentale che
Massimo Bartolini (Cecina, Livorno, 1962) cerca e riesce a instaurare in questa quinta personale da De Carlo è di tipo mistico e prende molto in prestito dall’immaginario cattolico.
La musica e l’impalcatura, apparentemente due elementi completamente diversi e distanti, sono uniti nel ragionamento logico che partorisce l’opera da una caratteristica comune: entrambi salgono verso l’alto. Attraverso la suggestione emotiva del sonoro e visiva per l’effetto della costruzione pre-architettonica del ponteggio, s’innesca un meccanismo che fa immediatamente collegare l’altezza all’ascesa al cielo e l’ascesa a una concezione spirituale della vita, a un miglioramento umano e alla tendenza naturale – una vera e propria necessità – di credere e aspirare a qualcosa. Sia che questo qualcosa sia di natura divina che umana, come l’impalcatura sembra simboleggiare rimandando a un tipo di società attiva, imprenditoriale, cittadina. E sia che si parli di valori più o meno di moda, più o meno contemporanei, visto che l’uno e l’altro dei due strumenti utilizzati da Bartolini per la sua installazione riportano anche a due periodi diversi.
È lo stesso titolo del progetto,
Organi, che del resto impone una pluralità di visioni, che tiene in embrione le due diversità base dell’opera che, messe poi a confronto, ne fanno scaturire tutto un universo di nuove. E, soprattutto, sempre il titolo rivela che, a parte lo strumento musicale, c’è da ricercare un secondo “organo”, inteso stavolta non come oggetto, ma come fattore vitale: uno scopo di progresso civico e morale. Infine, un terzo organo ancora è quello che Bartolini stesso suggerisce, raccontando della propria infanzia, quando giocava a scalare delle vere impalcature durante le vacanze scolastiche estive e parlando quindi di un’ennesima componente essenziale dell’umanità: la nostalgia e la tensione umana a tornare al candore perso nell’infanzia, recuperando innocenza, spontaneità, stupore e la volontà di scoprire nuovi punti da cui osservare il mondo.
La nostalgia del resto continua a sentirsi nel resto della galleria, che tutta intera assume così un deciso gusto retrò, con la collettiva
Homage to Modern Art. Una mostra di artisti contemporanei che creano un omaggio all’arte moderna e recuperano in parte un concettualismo fuori moda. Ma questa è un’altra storia.