Prima di scendere al piano seminterrato, dove si accede alla galleria, si attraversa l’androne del palazzo. Il primo che si gira, attorno all’angolo di via Rigola.
Quando si accede agli spazi della galleria, stanze ampliate dal bianco riverberante dell’intonaco, la frustata sensitiva è forte. Ci si trova in una zona di separazione, uno spazio dedicato al transito, un ambiente che investe di un significato vivo, quasi lucido. È l’ultima personale milanese di Margherita Morgantin (Venezia 1971), Navigazione a vista. L’esposizione ripropone una sorta di chiostro sensoriale che raggruppa diversi metodi d’indagine interattiva. Nell’ordine, la Morgantin ha strutturato: un’istallazione sonora, un disegno a parete su pannello, una fotografia e, per finire, sette disegni a china, illustrativi dell’intero progetto. Il primo forte richiamo al tema del passaggio e della registrazione percettiva arriva dall’istallazione sonora, totalmente invisibile. Le pareti, attorno all’angolo est della galleria, sono state innestate da quattro pannelli di cartongesso che contengono cinque diffusori sonori l’uno. Nulla traspare di questi sistemi di riproduzione, a qualche centimetro dall’intonaco. Nulla al di là della mera propagazione del suono, che è stranamente nitido, e ricorda l’insieme delle voci racchiuse all’interno di uno scafo. La percezione uditiva difatti, nonostante la pulizia dei rumori, non è mai del tutto limpida. Questo continuo, variegato mescere fluente permette a Morgantin di giocare sulla commistione timbrica e materica della composizione sonora. Gli acciottolii, gli sbriciolamenti e gli sciabordii, che spandono attraverso le pareti, sono in realtà frutto di un lavoro di sinterizzazione fonica, ricreata dall’artista stessa in studio di registrazione.
Per questo motivo la fonte originaria di tale insolita colonna sonora non risulta immediatamente riconoscibile. Per dare un orientamento, o semplicemente una misurazione, sui punti del viaggio, è stato installato Untitled_louminous efficacy of daylight 2. Un lightbox che misura l’intensità della rifrazione luminosa esterna, grazie al collegamento di un pannello fotovoltaico, posto fuori dalla finestra. Per spiegare, invece, in maniera autoriflessiva, come l’artista stessa immagina la fruizione di questa navigazione-a-vista, alle pareti si trovano sette schizzi a china che sintetizzano gli effetti del complesso artistico sullo spettatore/osservatore. Interessanti, questi ultimi quadretti in bianco e nero, per la rapidità segnica e l’espressione concettuale che, particolarmente all’interno di uno di questi, rasentano una rappresentazione di tipo poetico.
ginevra bria
mostra visitata il 19 dicembre 2006
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mostra bruttina.
cose un po' anni 90 trite e ritrite di stampo milanese intellettuale forzato vecchio stile.