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Les jeux ne sont pas encore faits”. Così si esprime ironicamente Renato Barilli in merito al movimento artistico del Nouveau Réalisme, ripercorso nella mostra-omaggio al critico francese Pierre Restany, che del movimento si fece promotore.
L’espressione francofona affiora come logica conclusione di una riflessione circa la persistenza e la consonanza delle soluzioni dei novorealisti con le vie intraprese dai protagonisti dell’attualità artistica internazionale, nei confronti dei quali le anime del movimento che vide luce a Parigi nel 1960 si mostrano tuttora competitive e incalzanti. Nonostante il lasso di tempo di esistenza ufficiale del movimento possa essere circoscritto, in termini rigorosamente storico-filologici, al decennio 1960-1970, si può tuttavia rintracciare una prolifica fase post-’70, segnata non più da un procedere comune all’insegna della condivisione e della simbiosi, bensì da personali riproposte e da un rinnovamento delle formule precedenti.
Protagonisti della retrospettiva, undici artisti presenti con minimi cenni a quanto elaborato in precedenza, nel periodo della consacrazione ufficiale,
e con un’estesa documentazione della fase successiva, segnata da una tendenziale ripresa delle premesse iniziali, con esiti spettacolari e una dilatazione quantitativa e dimensionale.
César, rimasto fedele alle compressioni e alle espansioni, ripropone i suoi cavalli di battaglia in veste aggraziata e preziosa nella
Suite Milanaise (1998).
Arman appare il campione assoluto della serialità della produzione industriale (
La Chute des Courses, 1996) con le sue celebri accumulazioni.
Daniel Spoerri espone i suoi tipici
tableaux-pièges, incantando – e disturbando – con la foresta mostruosa di
Idoli di Prillwitz (2008), realizzata assemblando i materiali più disparati.
La logica di ingranaggi e pistoni, di meccanismi con un movimento azionabile è al centro del lavoro di
Jean Tinguely (
Dernière collaboration avec Yves Klein, 1988), affiancato in mostra dal repertorio di feticci, simboli e motivi del folklore panciuti, rigonfi e dalle policromie sfacciate di
Niki de Saint Phalle.
Il trionfo della quantità è esemplarmente documentato dagli impacchettamenti dei coniugi
Christo e
Jeanne-Claude, all’insegna dell’ingrandimento estremo, in concorrenza con i colleghi statunitensi della Land Art. L’involucro pubblicitario rappresentato dalle
affiche domina l’operazione décollagista dei tre francesi
Raymond Hains,
Jacques Villeglé e
François Dufrêne e dell’italiano
Mimmo Rotella. Non ultimo
Deschamps, il quale ha agito su una superficie fatta di sostanze tessili e stracci, materiali molli e cedevoli, dove l’aspetto industriale si sprigiona dal trattamento di tinteggiatura violenta.
Ecco che allora l’impresa dei Nouveaux réalistes risulta consonante con le soluzioni artistiche della scottante attualità: da
Jeff Koons a
Mike Kelley, da
Peter Halley a
Takashi Murakami. Per citare ancora Barilli, il quale prende nuovamente a prestito un’espressione francofona: “
Le Nouveau Réalisme est mort, vive le Nouveau Réalisme”.