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20
gennaio 2010
fino al 30.I.2010 Eva Kot’átková Milano, Conduits
milano
Equilibrio e poi stasi. La luce è uno spazio sottile, fermo tra sbarra e sbarra. L'educazione concilia e immobilizza, né casa né riparo. Una personale che mette insieme il già-visto e il da-vedere...
di Ginevra Bria
L’uomo è il solo animale che
educhi la propria discendenza a vivere in gabbia. Questa banale rivelazione, Eva
Kot’átková (Praga, 1982) la conosce, la
reinterpreta e la trasmette con estrema chiarezza d’intenti e di linguaggi.
Rigore e geometria accompagnano House Arrest in maniera omogenea, restituendo al visitatore il dono
della repulsione e la sfortuna della grazia. Dimensioni entrambe distinte nello
spazio, con smagata rotondità.
Compressa, richiusa, completa e
forzata, la scena formale sulla quale la giovane artista ceca si muove è un
ricamo per il limite. Linee e risvolti accompagnano tutti i supporti
presenti in galleria, restituendo peso specifico alla scoperta tridimensionale
della domesticità (luogo del dominio). Caratteristica che, tanto nelle
installazioni quanto nei video, quanto nella numerosa produzione segnica,
diventa materia viva.
Sebbene eccessivamente indagato,
il campo mnemonico del crescere umano, il tema dell’educazione rientra in House
Arrest scansando, per un soffio, crudeltà
ridondanti e semplificazioni in allerta. L’artista, infatti, si mantiene
saldamente tra la carta, le sbarre metalliche e le assi di legno, confezionando
energia utile a creare un sistema-Kot’átková. Una mappa facilmente orientabile
e riconducibile a una sola mano.
“La ricerca di un cortile per
la ricreazione, intimamente conosciuta”,
sostiene la praghese, “può rivelarsi un gioco pericoloso. Sconvolgere la
funzione degli oggetti, oggetti che
sono la base della nostra quotidianità, può portare a una caduta drastica. Io
non sono così coraggiosa, ovviamente, ma cerco di destabilizzare le nostre
certezze”.
In equilibrio, dunque, tra
coercizione e definizione, stasi e punizione, la ricerca di Eva Kot’átková
segmenta lo spazio in frammenti del proprio vissuto, trasformando regole,
banchi di scuola, gabbie immaginarie e corpi evasori in perpetua e immanente
gerarchia pedagogica. L’artista costruisce formule agenti di rivisitazione
umana, per indagare le ristrettezze del senso comune e mostrare la struttura
divisibile della ricorsività quotidiana.
Kot’átková mantiene tuttavia il
miglior distacco dal resto, rimanendo al di qua dei rituali scolastici di Kelley
e degli annessi bagordi ridanciani dei
processi di crescita (metaforizzati dal compare Michael Smith).
L’artista praghese emula anche, sebbene indirettamente, una Inmensa di Meireles del
1982 (si veda l’installazione Konstrukce SM) e parte della gestualità performativa di Abrigo (1996) di Brigida Baltàr; traslitterando, in verità, le poetiche di entrambe le
opere.
Seguendo, dunque, strutture,
ri-corsi e per-corsi, l’età infantile sedimenta come architettura rilevante di
questa personale, luogo dove il corpo dell’uomo rappresenta il limite indiretto
del gesto e del libero arbitrio. Proprio lì dove a man clutching at straw non è altro che ancora un bambino, con una pesante gabbia
metallica appesa tra collo e nuca. Senza rifugio.
educhi la propria discendenza a vivere in gabbia. Questa banale rivelazione, Eva
Kot’átková (Praga, 1982) la conosce, la
reinterpreta e la trasmette con estrema chiarezza d’intenti e di linguaggi.
Rigore e geometria accompagnano House Arrest in maniera omogenea, restituendo al visitatore il dono
della repulsione e la sfortuna della grazia. Dimensioni entrambe distinte nello
spazio, con smagata rotondità.
Compressa, richiusa, completa e
forzata, la scena formale sulla quale la giovane artista ceca si muove è un
ricamo per il limite. Linee e risvolti accompagnano tutti i supporti
presenti in galleria, restituendo peso specifico alla scoperta tridimensionale
della domesticità (luogo del dominio). Caratteristica che, tanto nelle
installazioni quanto nei video, quanto nella numerosa produzione segnica,
diventa materia viva.
Sebbene eccessivamente indagato,
il campo mnemonico del crescere umano, il tema dell’educazione rientra in House
Arrest scansando, per un soffio, crudeltà
ridondanti e semplificazioni in allerta. L’artista, infatti, si mantiene
saldamente tra la carta, le sbarre metalliche e le assi di legno, confezionando
energia utile a creare un sistema-Kot’átková. Una mappa facilmente orientabile
e riconducibile a una sola mano.
“La ricerca di un cortile per
la ricreazione, intimamente conosciuta”,
sostiene la praghese, “può rivelarsi un gioco pericoloso. Sconvolgere la
funzione degli oggetti, oggetti che
sono la base della nostra quotidianità, può portare a una caduta drastica. Io
non sono così coraggiosa, ovviamente, ma cerco di destabilizzare le nostre
certezze”.
In equilibrio, dunque, tra
coercizione e definizione, stasi e punizione, la ricerca di Eva Kot’átková
segmenta lo spazio in frammenti del proprio vissuto, trasformando regole,
banchi di scuola, gabbie immaginarie e corpi evasori in perpetua e immanente
gerarchia pedagogica. L’artista costruisce formule agenti di rivisitazione
umana, per indagare le ristrettezze del senso comune e mostrare la struttura
divisibile della ricorsività quotidiana.
Kot’átková mantiene tuttavia il
miglior distacco dal resto, rimanendo al di qua dei rituali scolastici di Kelley
e degli annessi bagordi ridanciani dei
processi di crescita (metaforizzati dal compare Michael Smith).
L’artista praghese emula anche, sebbene indirettamente, una Inmensa di Meireles del
1982 (si veda l’installazione Konstrukce SM) e parte della gestualità performativa di Abrigo (1996) di Brigida Baltàr; traslitterando, in verità, le poetiche di entrambe le
opere.
Seguendo, dunque, strutture,
ri-corsi e per-corsi, l’età infantile sedimenta come architettura rilevante di
questa personale, luogo dove il corpo dell’uomo rappresenta il limite indiretto
del gesto e del libero arbitrio. Proprio lì dove a man clutching at straw non è altro che ancora un bambino, con una pesante gabbia
metallica appesa tra collo e nuca. Senza rifugio.
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mostra visitata il 9 dicembre 2009
dal 9 dicembre 2009 al 30 gennaio 2010
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Conduits/Gea Politi
Viale Stelvio, 66 (zona Maciachini) – 20159 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 15-19 o su appuntamento
Ingresso libero
Catalogo Flash Art Books
Info: tel. +39 026883470; info@theconduits.com; www.theconduits.com
[exibart]
non male il lavoro con i banchi, anche se lo stesso artista si era visto recentemente a bolzano. Un po’ fissato con l’educazione ed una certa estetica ripetuta che si fa sempre “voler bene”. In fondo, come potrebbe recitare la scritta di un campo di concentramento: “l’educazione rende liberi”. Nel senso che è necessaria, e bisogna vedere come la si usa. In ogni caso, nonostante i 27 anni, si perpetua un clichè formale e concettuale. Ci sono i riferimenti dell’articolo, ma anche solo il charlie inchiodato al banco di cattelan.
Caro Luca
magari ci si può anche accorgere che si tratta di una donna e non di un uomo…
ma so che per te queste sono inezie che non entrano nella discussione sui contenuti (così come ti piace scrivere).
Purtroppo non e’ possibile correggere e fare editing nei commenti. “Eva” e’ scritto a grandi caratteri, so che e’ una donna. Mi scuso e mi dolgo. Pero’ sono vizi ortografici su cui non mi soffermerei.
ma che noia questo commento di rossi, sempre pieno di astio verso tutti, ma poi mi chiedo non avrà nulla da fare tutto il giorno? sempre lì a scrivere a buttare sentenze. ma che te ne frega del lavoro degli altri artisti? ma chi te la fa a fare? che brutto modo di vivere, frustrazione e seghe mentali. ma poi perchè non dici chi sei? cosa fai? dai giudizi su tutti ma questi tutti ci mettono la loro faccia i quelli che fanno, e tu? quando ci metti la faccia? mi sembra una di quelle cose da giornale di paese dove si usano gli pseudonomi per attaccare la giunta del momento così da evitare ripercussioni. ma quanti orticelli hai da proteggere?