A Milano da Primo Marella Gallery l’Asia è di casa, con la prima mostra personale in Europa di Naguyen Thai Tuan (1965), il Vietnam con i suoi luoghi simbolici e le contraddizioni della sua storia non è come si comunica. Bando agli esotismi dunque e attraverso le opere dell’artista, “l’altro” Vietnam è lo sfondo di una serie di tele di pittura ad olio intitolate Heritage e Black Painting, con scene d’interni ed esterni, milieux dell’attesa di un indefinibile e inquietante atmosfera di realismo esistenziale, abitate da figure dai volti anneriti, senza identità: una straziante metafora di privazione dell’individualità riferita alla censura governativa che altera le notizie come antivirus del dissenso.
La mostra, a cura di Demetrio Paparoni, trae spunto da fatti di cronaca realmente accaduti, luoghi esistenti, ricordi autobiografici, immagini di vita quotidiana filtrate attraverso fotografie, giornali, televisioni e Internet. Nel Vietnam la vita non è come la raccontano le autorità, e i soggetti di Thai Tuan non sono ciò che si vede, ma visualizzano conseguenze di una condizione di vita innaturale in cui si nega il diritto della libertà. Sono immagini da osservare nel dettaglio, dagli squarci di luce e di ombra che smuovono riflessioni razionali e implicazioni psichiche dell’osservatore.
Nel ciclo nominato Black Painting, le immagini si trasformano in sequenze da archiviare nella memoria, per non dimenticare, in cui si narra l’arresto e il processo di attivisti e intellettuali accusati di aver alimentato disordini popolari contro lo Stato. Nel Vietnam, nel nuovo millennio il codice penale considera “agitatore” anche chi rivendica il naturale diritto di libertà religiosa e il rispetto dei diritti civili è un’anomalia.
L’artista, tra i più importanti e contestati pittori vietnamiti, annerisce o elimina tutte le parti del corpo non coperte da indumenti, secondo una pratica già in uso nel suo paese da parte di parenti dei soldati del Sud che ritagliavano dalle foto di famiglia i volti di padri, mariti e figli in uniforme, come simbolo di una fisicità perduta, dalla soggettività violata. Ci osservano nell’ombra sagome inquietanti, silenziose, scomode presenze dall’identità oscurata, che smascherano l’assurdità degli abusi di potere e la brutalità degli esecutori materiali di repressioni. Coloni e colonizzati, carcerati e carcerieri, donne eleganti e contadine, militari e religiosi. Incuriosisce ma non sorprende perché l’artista non ritrae bambini, sempre vittime innocenti, ma solo gli adulti senza volto alla ricerca di verità senza sapere quale. L’espediente di annerire il volto, il collo e i polsi, le caviglie è stata utilizzata in Vietnam e successivamente nell’Unione Sovietica di Stalin dalla censura politica, graffiando o cancellando i volti dei politici e dei militari caduti in disgrazia dalle fotografie di eventi ufficiali, i censori non volevano annullare il personaggio, bensì la Storia. E in questo teatro dell’assurdo, tutt’altro che surrealista, si configura l’angoscia del popolo vietnamita e per estensione di quei tanti, troppi paesi dominati da dittature destinate a perire.
Jacqueline Ceresoli
mostra visitata il 17 dicembre 2014
Dal 17 dicembre 2014 al 30 gennaio 2015
Nguyen Thai Tuan, Heritage
Primo Marella Gallery,
V.le Stelvio 66 20159 Milano
Info: info@primomarellagallery.com
www.primomarellagallery.com