Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
19
febbraio 2008
fino al 30.III.2008 Annisettanta Milano, Triennale
milano
Tutti gli anni ‘70 in una mostra ambigua, spettacolare e razionale. Tra bar d’epoca, Aldo Moro e Pasolini. Il collettivismo va a braccetto con il walkman, l’utopia con il glamrock...
Sembra sia passato un secolo, se si pensa agli anni ‘70. Eppure, trovandosi davanti agli occhi i flash di memoria della mostra curata da Gianni Canova, si coglie quanto simili quegli anni siano ai nostri, almeno a livello visivo. E quanto siano un preludio ai decisivi anni ‘80, inizio della nostra fioritura e assieme della nostra rovina.
La mostra Annisettanta ha già occupato il dibattito sui giornali nazionali, con stroncature epiche e battagliere risposte del curatore, entrambe oltranziste e fuori fuoco. È vero che si tratta di una mostra di contrasti. Se da un lato non ha un approccio nostalgico, è indubbia la spettacolarizzazione di eventi fondanti, a causa della ludicità dell’allestimento. Se è vero che sono presenti elementi che possono provocare un tuffo al cuore, alimentando i ricordi, l’atmosfera generale è abbastanza fredda.
La mostra si struttura sui due piani della Triennale, suddivisa in ventisei stanze. Ognuna è affidata a un “sottocuratore” o a un artista, idea geniale ma rischiosa. Fra i temi il teatro, la televisione, l’avvento del colore, le radio libere, il cinema, la musica, lo sport, i videogiochi, i giornali e la comunicazione.
Spiccano almeno tre momenti, quasi indimenticabili. Per ricordare l’omicidio di Aldo Moro, Francesco Arena ricostruisce la cella di detenzione del primo ministro Dc. Provate a chiudere la porta, una volta entrati nello stanzino. Il senso di claustrofobia e solennità arriva al massimo, rispettando l’avvenimento luttuoso. La stanza di Elisabetta Benassi contiene un’Alfa GT con i fari accesi. È la macchina di Pasolini, che, abbandonata accesa, rievoca il suo omicidio. Infine, nella stanza a cura di Giancarlo Basili viene ricostruito un bar d’epoca, con tanto di tenda a frange, bancone in ferro, distributore di caramelle e telefono a gettoni.
Le due stanze sull’arte contemporanea ospitano selezioni volutamente parziali. Quella di Francesca Alfano Miglietti coglie l’eco della body art nell’arte di oggi, concentrandosi, più che sul corpo, sull’individuo come protagonista dell’opera, esposto ai venti della disumanizzazione. Tra i nomi, Serrano e Kimsooja. Luca Beatrice si concentra invece sul poverismo e sul concettualismo, allineando artisti come Boetti, Calzolari e Piacentino. Le due sale, anche se interessanti, sono forse le uniche due della mostra in cui aleggia la sensazione di un’occasione perduta.
Se un vero e proprio rimprovero va fatto a questa mostra, riguarda all’allestimento. Non si vuole essere tradizionalisti e completisti, e rifiutare le intenzioni dell’architetto Mario Bellini, che prescrive un percorso casuale, anche a costo di perdere alcune delle cose esposte. Però va detto che è veramente faticoso orizzontarsi, col rischio di far perdere la pazienza al visitatore.
La mostra trova molto più di un’appendice nel catalogo. Si tratta di un dizionario con brevi saggi scritti da più di cento autori, tra cui Ronconi, Scurati, Scarpa, Fazio, Rutelli, Belpoliti e Vallanzasca. Un dizionario in cui parole come “collettivo” e “utopia” stanno assieme a “walkman” e “glam rock”, a testimonianza della schizofrenia di quegli anni, tipica delle società di massa. Si tratta di un libro di interesse non particolaristico, che comprende anche dati statistici, un elenco degli avvenimenti, una ricognizione della stampa d’epoca e una legenda delle tante sigle in voga nel decennio.
La mostra Annisettanta ha già occupato il dibattito sui giornali nazionali, con stroncature epiche e battagliere risposte del curatore, entrambe oltranziste e fuori fuoco. È vero che si tratta di una mostra di contrasti. Se da un lato non ha un approccio nostalgico, è indubbia la spettacolarizzazione di eventi fondanti, a causa della ludicità dell’allestimento. Se è vero che sono presenti elementi che possono provocare un tuffo al cuore, alimentando i ricordi, l’atmosfera generale è abbastanza fredda.
La mostra si struttura sui due piani della Triennale, suddivisa in ventisei stanze. Ognuna è affidata a un “sottocuratore” o a un artista, idea geniale ma rischiosa. Fra i temi il teatro, la televisione, l’avvento del colore, le radio libere, il cinema, la musica, lo sport, i videogiochi, i giornali e la comunicazione.
Spiccano almeno tre momenti, quasi indimenticabili. Per ricordare l’omicidio di Aldo Moro, Francesco Arena ricostruisce la cella di detenzione del primo ministro Dc. Provate a chiudere la porta, una volta entrati nello stanzino. Il senso di claustrofobia e solennità arriva al massimo, rispettando l’avvenimento luttuoso. La stanza di Elisabetta Benassi contiene un’Alfa GT con i fari accesi. È la macchina di Pasolini, che, abbandonata accesa, rievoca il suo omicidio. Infine, nella stanza a cura di Giancarlo Basili viene ricostruito un bar d’epoca, con tanto di tenda a frange, bancone in ferro, distributore di caramelle e telefono a gettoni.
Le due stanze sull’arte contemporanea ospitano selezioni volutamente parziali. Quella di Francesca Alfano Miglietti coglie l’eco della body art nell’arte di oggi, concentrandosi, più che sul corpo, sull’individuo come protagonista dell’opera, esposto ai venti della disumanizzazione. Tra i nomi, Serrano e Kimsooja. Luca Beatrice si concentra invece sul poverismo e sul concettualismo, allineando artisti come Boetti, Calzolari e Piacentino. Le due sale, anche se interessanti, sono forse le uniche due della mostra in cui aleggia la sensazione di un’occasione perduta.
Se un vero e proprio rimprovero va fatto a questa mostra, riguarda all’allestimento. Non si vuole essere tradizionalisti e completisti, e rifiutare le intenzioni dell’architetto Mario Bellini, che prescrive un percorso casuale, anche a costo di perdere alcune delle cose esposte. Però va detto che è veramente faticoso orizzontarsi, col rischio di far perdere la pazienza al visitatore.
La mostra trova molto più di un’appendice nel catalogo. Si tratta di un dizionario con brevi saggi scritti da più di cento autori, tra cui Ronconi, Scurati, Scarpa, Fazio, Rutelli, Belpoliti e Vallanzasca. Un dizionario in cui parole come “collettivo” e “utopia” stanno assieme a “walkman” e “glam rock”, a testimonianza della schizofrenia di quegli anni, tipica delle società di massa. Si tratta di un libro di interesse non particolaristico, che comprende anche dati statistici, un elenco degli avvenimenti, una ricognizione della stampa d’epoca e una legenda delle tante sigle in voga nel decennio.
articoli correlati
Archeologia degli anni Ottanta
stefano castelli
mostra visitata il 26 ottobre 2007
dal 26 ottobre 2007 al 30 marzo 2008
Annisettanta
a cura di Gianni Canova
Triennale
Viale Alemagna, 6 (zona Sempione) – 20121 Milano
Orario: da martedì a domenica ore 10.30-20.30
Ingresso: intero € 8; ridotto € 6/5
Catalogo Skira, € 49
Info: tel. +39 02724341; fax +39 0289010693; info@triennale.it; www.triennale.it
[exibart]
“Se un vero e proprio rimprovero va fatto a questa mostra, riguarda all’allestimento”
io rimprovererei il tuo italiano
” Non si vuole essere tradizionalisti e completisti” ????
“.. anche a costo di perdere alcune delle cose esposte. Però va detto che è veramente faticoso orizzontarsi, col rischio di far perdere la pazienza al visitatore”.
al mercato scrivono meglio
Bravissimo Paolo, sei riuscito a scovare un refuso in Exibart. Hai vinto il Premio pignoleria.
Per quanto riguarda la frase sull’allestimento, come è evidente a chiunque sia in buona fede,si tratta di un refuso, peraltro aggiunto in fase di redazione editoriale.
Per il resto, posso solo dire che chiederò al più presto a Paolo di impartirmi ripetizioni di italiano.
Stefano Castelli
p.s. A quando i commenti firmati con nome e cognome? ho provato a rispondere a Paolo ma la mail risulta sconosciuta. Non vorrei si utilizzassero nomi e mail inventate.
“La mostra si struttura sui due piani della Triennale, suddivisa in ventisei stanze…Fra i temi il teatro, la televisione, l’avvento del colore, le radio libere, il cinema, la musica, lo sport, i videogiochi, i giornali e la comunicazione”, recita il comunicato stampa…,ma
tra i momenti che spiccano – previsti dal curatore – ne mancano alcuni caratterizzanti proprio la storia culturale e artistica dei primi anni 70 e ne cito un paio…per rinfrescar la memoria a certi certuni… (ma curatori di che?…, ma lasciamo perdere. Per fortuna la storia esiste…per tutti e i veri talenti artistici non sono “invisibili”), Nel 1973 – ricordate ? – avviene il golpe militare in Cile e il Presidente Salvador ALLENDE è ammazzato sotto i bombardamenti della “Casa Rosada”. Viene Ucciso anche il Poeta Pablo NERUDA. Nel sud Italia a Taranto, è ideata, organizzata e curata – nel Festival dell’Avanti! Provinciale – una mostra di livello nazionale dove partecipa anche il Poeta Rafael ALBERTI con la “Grafica” e la Poesia autografa dedicata al “Presidente del Cile Salvador Allende”. Nella stessa mostra il poeta visivo Eugenio MICCINI con il sottoscritto allestisce nella Mostra d’arte, un momento d’alta espressione multimediale definito come “Teatro pubblico, teatro politico”: uno spettacolo d’avanguardia come occasione di riflessione sul linguaggio dell’arte e dei mass-media (con vari medium come video-tape, filmati di cartoni animati, cinema undergraund, diaproiezioni e audiovisivi e performance a cura di Vittorio Del Piano con giovani artisti e aspiranti attori in scena nella rotonda della Villa Comunale “Peritato”, tra installazioni e esposizioni varie con editoria, grafica, etc.), con un work progress in aperta evoluzione di contaminazioni linguistiche ed estetiche in piena sperimentazione. Una grande e interessante mostra ripresa dai RAI e inaugurata dall’allora Vice Segretario Nazionale del P.S.I. con l’intervento del Presidente della Regione Puglia On. Beniamino FINOCCHIARO, le adesioni sul tema furono confermate – con lettere inviate al curatore della Mostra – da parte dell’ On. Gianni AMENDOLA, sen. Sandro PERTINI, sen. Pietro NENNI, tanto per citare le più note personalità della politica italiana. Inoltre è da citare ancora nel 1974, il primo Referendum popolare per la non abolizione della legge sul divorzio in Italia,il quale ebbe il contributo dell’Unica Rassegna d’arte sul tema appunto: “Progetto per un Manifesto “NO” all’abolizione della legge sul divorzio in Italia” con la partecipazione dei più impegnati Artisti e Poeti Visivi Italiani come., tra gli altri: Lamberto Pignotti, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Arrigo Lora Totino, i coniugi Oberto, Adriano Spatola, Renaldo Nuzzolese, Riccardo Bugli, Michele Perfetti, Alfredo Giusto, Vitantonio Russo, Ettore Consolazione, Vittorio Del Piano e con la partecipazione e l’adesione del grande esperto d’arte internazionale Pierre RESTANY, e il giovane semiologo Omar CALABRESE tenne nell’Università di Bologna, un convegno proprio sul contributo dato da questi artisti e dei grafici artisti del fumetto. E’ utile dire che queste iniziative, storicizzate e ben riconosciute, sono state ideate a cura di Vittorio Del Piano. anche se certi curatori senza validi attributi non le sanno rilevare per la terra bruciata che è intorno a loro. Guido Le Noci seppe individuarle e ricordarle sempre in ogni situazione seria., come era suo costume, anche se solo un Gallerista (onesto e intelligente)…- delpiano.artepura@libero.it