Nel suo
Treatise of Human Nature, il filosofo scozzese David Hume scrive che il giusto rapporto fra novità e facilità è alla base di ogni fruizione estetica: un eccesso di novità rende ostica l’opera d’arte, una eccessiva facilità la priva di fascino. Incomprensione o disinteresse. I lavori di
Tommaso Chiappa (Palermo, 1983; vive a Milano e Palermo) stanno nella giusta via di mezzo tra freschezza e abituale conoscenza.
La sua prima personale da Luciano Inga-Pin è una mostra in divenire: parte dello spazio espositivo è contrassegnata dal “pensatoio”, lavori finiti o in via di sviluppo, acquerelli, disegni a matita, penna, china, fissati alla parete come quadri e che l’artista ama definire “
installazioni“, proprio per enfatizzare quest’idea di lavoro
in fieri.
Chiappa si schermisce dall’etichetta di “artista” e preferisce esser considerato un osservatore della realtà: si mescola a essa discendendo nell’esistenza, per strada, perché “
puoi sapere tutto del mondo là fuori e nulla del quartiere sotto casa”. Ciò che gli interessa più dell’arte è la vita.
Take Away, pretesto espressivo per uscire e rientrare nella realtà, cercando di portare il più possibile di sé. Essere un po’ ovunque e prendere sempre qualcosa, un propagarsi in direzioni diverse che vale sia a livello di tecnica espressiva -variati media, dalla china all’olio, che danno l’impronta di sé a opere dove sembra di non riconoscere sempre la stessa mano- che in senso esistenziale.
Qui c’è tutto Tommaso Chiappa. Il quale nasce con l’olio su tela, ma desidera sperimentare edificando una tecnica variegata. Inclinazione alla fuoriuscita dal limite che è strettamente connesso ai suoi viaggi in Europa. Si sente un po’ ramingo e viaggerebbe tutto l’anno.
Si diceva della serie di opere allestita in galleria. Immagini come istantanee di vita, da leggere in chiave mentale, molte delle quali caratterizzate dall’uso del monocromo, come il dittico inerente Palermo e Milano (
+30° e
-2°). Lavori che solo con affrettata, infelice e insomma riduttiva espressione verrebbe da definire “paesaggi urbani”, caratterizzati da una schiettezza disarmante unita a un’estrema raffinatezza, enfatizzata sovente dal candore luminoso di sfondi limpidi di nulla, su cui si aprono scenari del quotidiano. Raccolti qua e là nel corso della vita e fissati come istantanee rese con segno rapido e quasi acqueo.
Take Away, ancora: da
Pollock Tommaso Chiappa trae la forza creativa, da
Picasso la pazzia, da
Guttuso la forza rude (
La Vucciria). E i referenti più vicini all’oggi sono i giovani artisti palermitani
Alessandro Bazan e
Andrea Di Marco, con i quali la sua poetica antididascalica condivide recondite armonie.