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24
aprile 2009
Seguire i tracciati che Giorgio Griffa (Torino, 1936) ha lasciato sulle tele del cosiddetto ciclo dei “segni primari” (erano gli anni ‘70) equivale a osservare un elettrocardiogramma.
Un referto che intende leggere l’uomo come partecipe della natura; l’artista a completo ed esclusivo servizio dell’arte, al pari di tela, pennello e pigmenti, se è vero che lo stesso Griffa ha dichiarato: “Preferisco diventare anonimo, fare dei segni che sono nelle mani di tutti, preferisco diventare invisibile, assumere un atteggiamento in cui la mia mano è uno strumento della pittura”. Un senso di umiltà nato dal fatto che “quando io prendo in mano la pittura, mi trovo a fare i conti con una memoria straordinaria”; una memoria “carica di quantità di significati e di emozioni”.
Nella ventina di opere esposte da Lorenzelli si dipana un percorso omogeneo, ricco di fascino. Dove a vincere è certamente la purezza del segno, in una pittura totalizzante come il rumore bianco, ma dalla quale emerge con raffinata potenza la capacità di governare il ritmo. È questa la parola che, come giustamente suggerito dagli interventi critici che completano un catalogo ricco di suggestioni (e che pertanto si fa perdonare i troppi refusi), determina il carattere di questa fase della produzione di un artista che si vede – e si mostra – nelle vesti sciamaniche di un medium al servizio della natura.
La ripetitività insistita dei tratti, le morbide variazioni cromatiche, l’incedere compassato del pennello sulla tela grezza: è la rappresentazione del tentativo di “settare” il proprio respiro sui tempi eterni ed eterei del mondo, in un’azione di pacificazione panica che strappa all’arte le sue proprietà mimetiche e le consegna alla figura dell’artista. Artista che, quindi, (ri)acquista il proprio status sacerdotale, riallacciando un legame con l’eterno che lo porta a esser in grado, infine, di dipingere il divenire, come titola la personale.
Si è parlato, per i lavori di Griffa, di “pittura analitica”, “nuova pittura” o anche “pittura-pittura”; si è cercato di contestualizzare la sua esperienza nel mare magnum dell’astrattismo, accostandola di volta in volta a questa o a quella corrente, in barba alla sua natura mai taciuta, semmai esplicitata, furiosamente figurativa.
Se non avessimo a noia le etichette, buone ormai forse solo per i surgelati, si potrebbe parlare di arte sincronica. Laddove è proprio nel perseguimento del “suonare insieme” che esce lo straordinario valore di quest’esperienza.
Un referto che intende leggere l’uomo come partecipe della natura; l’artista a completo ed esclusivo servizio dell’arte, al pari di tela, pennello e pigmenti, se è vero che lo stesso Griffa ha dichiarato: “Preferisco diventare anonimo, fare dei segni che sono nelle mani di tutti, preferisco diventare invisibile, assumere un atteggiamento in cui la mia mano è uno strumento della pittura”. Un senso di umiltà nato dal fatto che “quando io prendo in mano la pittura, mi trovo a fare i conti con una memoria straordinaria”; una memoria “carica di quantità di significati e di emozioni”.
Nella ventina di opere esposte da Lorenzelli si dipana un percorso omogeneo, ricco di fascino. Dove a vincere è certamente la purezza del segno, in una pittura totalizzante come il rumore bianco, ma dalla quale emerge con raffinata potenza la capacità di governare il ritmo. È questa la parola che, come giustamente suggerito dagli interventi critici che completano un catalogo ricco di suggestioni (e che pertanto si fa perdonare i troppi refusi), determina il carattere di questa fase della produzione di un artista che si vede – e si mostra – nelle vesti sciamaniche di un medium al servizio della natura.
La ripetitività insistita dei tratti, le morbide variazioni cromatiche, l’incedere compassato del pennello sulla tela grezza: è la rappresentazione del tentativo di “settare” il proprio respiro sui tempi eterni ed eterei del mondo, in un’azione di pacificazione panica che strappa all’arte le sue proprietà mimetiche e le consegna alla figura dell’artista. Artista che, quindi, (ri)acquista il proprio status sacerdotale, riallacciando un legame con l’eterno che lo porta a esser in grado, infine, di dipingere il divenire, come titola la personale.
Si è parlato, per i lavori di Griffa, di “pittura analitica”, “nuova pittura” o anche “pittura-pittura”; si è cercato di contestualizzare la sua esperienza nel mare magnum dell’astrattismo, accostandola di volta in volta a questa o a quella corrente, in barba alla sua natura mai taciuta, semmai esplicitata, furiosamente figurativa.
Se non avessimo a noia le etichette, buone ormai forse solo per i surgelati, si potrebbe parlare di arte sincronica. Laddove è proprio nel perseguimento del “suonare insieme” che esce lo straordinario valore di quest’esperienza.
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Lorenzelli Arte
Corso Buenos Aires, 2 (zona Porta Venezia) – 20124 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 10-13 e 15-19; lunedì su appuntamento
Ingresso libero
Catalogo disponible
Info: tel. +39 02201914; fax +39 0229401316; lorenzelliarte@tin.it; www.lorenzelliarte.com
[exibart]