Pochi anni fa, diversi autorevoli giornali di varie nazionalità si sono occupati di una storia presumibilmente vera e oltremodo curiosa. Intorno al 1941, i nazisti avrebbero deciso di realizzare una bambola gonfiabile da produrre in serie, per soddisfare i bisogni dei soldati al fronte. Così facendo, il regime hitleriano avrebbe escluso i temuti rischi di malattia e promiscuità di razza, conseguenti alla frequentazione dei bordelli. Dopo che i bombardamenti degli alleati distrussero il Deutches Hygiene-Museum di Dresda, dove sarebbero state conservate le testimonianze di questo piano, chiamato
Borghild Project, la vicenda è caduta nell’oblio, dividendo l’opinione pubblica: verità o frottola giornalistica?
È questo il punto di partenza dell’operazione di
Janez Janša (Bergamo, 1970), che anzitutto realizza con questo lavoro un’articolata e creativa ricostruzione storica. Sfila sulle pareti della galleria una documentazione accurata, con pannelli corredati da testi in lingua inglese, con note rigorose, affiancati a fotografie originali dei protagonisti del progetto. Passano in rassegna immagini di scienziati, ufficiali, personalità legate al regime. E c’è persino uno scultore, coinvolto in quanto esperto in materia estetica.
In effetti, è facile immaginare che
Frau Helga (questo il nome “ufficiale” della bambola) avrebbe dovuto possedere caratteristiche di desiderabilità pari alle aspettative delle truppe. A tale scopo, oltre agli studi sulla consistenza della sua pelle sintetica o sulla sua voce, ecco gli scatti fotografici delle modelle selezionate come ideali per i calchi: forti atlete tedesche dell’epoca e fanciulle svestite dal sanissimo aspetto; persino una celebre attrice del tempo, che però avrebbe rifiutato la richiesta di prestare il suo volto alla bambola.
Un video-documentario sorprende ancor più con il suo inquietante finale. Qui la simulazione di un orgasmo femminile si stempera nel canto delle prime due strofe dell’inno nazionale tedesco, che assumono particolare significato perché, dopo la fine della guerra, il governo tedesco decise di tralasciarle a causa della loro strumentalizzazione da parte del regime nazista.
L’operazione ricostruttiva diventa così per Janša uno strumento che permette di riflettere sul difficile rapporto che la Germania odierna è costretta a intrattenere con il suo recente passato. Sistemata in una bacheca, si trova anche la dotazione originale destinata a ogni soldato tedesco. Una consistente quantità di materiale, che l’artista è riuscito ad accumulare grazie a svariate ricerche, con l’idea di attualizzare il
Borghild Project.
A questi oggetti piuttosto prevedibili si affianca un ambiguo contenitore cilindrico dall’aspetto consunto: facilmente riconoscibile, la
Frau Helga portatile si trova al suo interno. Comodamente a disposizione della truppa.
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per favore...ma è ridicola questa mostra? ma facciamo arte contemporanea o storia? certe cose lasciamole fare a chi di dovere e con competenza.
basta con queste gallerie alla fabio paris, gallerie inutili.
grazie se pubblicate questo mio pensiero
cordiali saluti