Tempo, paesaggio, uomo. Sono gli elementi fondamentali di
Le terme e la sirena, intervento di
Wolfgang Weileder (Monaco di Baviera, 1965; vive a Newcastle) negli spazi milanesi di Rossana Ciocca. Non una semplice mostra, piuttosto il rendiconto, documentato per immagini, dell’esperienza che l’artista tedesco ha vissuto a Milano negli ultimi quattro mesi, esprimendosi prima in un’opera site specific, poi nella micro-esposizione presso Assab One, infine in quest’ultimo sunto.
C’era una volta un bagno pubblico, in attività dagli anni ’20 fino all’epoca Pillitteri; un luogo di servizio ma anche d’incontro, trasposizione in forme art nouveau delle terme romane: il Diurno Venezia. C’era, e ora non è più: chiuso e interrato, sovrastato da una spalmata di cemento, Piazza Oberdan. Weileder rileva la pianta e la evoca, un muro alla volta – un colonnato alla volta – sopra l’asse stradale, impilando blocchi di cemento bianco ultraleggero. Costruisce e decostruisce, un pezzo alla volta: ogni fine è inizio del segmento successivo. Il Diurno è un Narciso architettonico: insegue il miraggio della propria immagine, intuendola sotto uno specchio di asfalto.
La performance fiorisce e svanisce nel giro di una decina di giorni. Restano oggi in galleria un filmato in
stop motion e una serie di fotografie. Un paio a colori, assemblaggi di strisce verticali dello stesso dettaglio ripreso in momenti diversi; altre in bianco e nero, ottenute in analogico sovrapponendo la stessa inquadratura nei diversi momenti dell’intervento, fino ad avere l’immagine dissolta (lo stesso Weileder l’ha definita, con piacevole intuizione, “
fantasmagorica”) dell’intera installazione. Due visioni differenti, due modalità complementari di leggere l’elemento tempo.
Chiudono l’esposizione immagini analoghe registrate a Leuven in Belgio, dove la facciata dello storico caffè Meermin (Sirena) è stata trasferita, ribaltata sull’acciottolato della piazza.
Rossana Ciocca ha inteso l’opera di Weileder come un grado terzo del concetto di paesaggio: oltre la memoria (il passato del Diurno Venezia), oltre la contemporaneità (il brulicare odierno di piazza Oberdan), verso il domani. Guardiamo alla definizione corrente di paesaggio, definita dalla Comunità Europea: “
Una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Il lavoro di Weileder sembra l’affascinante tentativo di leggere questa percezione, questo carattere. Il volto effimero dell’intervento traduce la fragilità di un equilibrio che non è più possibile ricondurre al rapporto tra l’uomo e il suo ambiente di vita.
Il confronto si sposta su un piano esclusivamente, intimamente e squisitamente umano: se accettiamo che il paesaggio sia l’immagine fedele di chi lo vive, allora ogni categoria assume una connotazione più profonda e selvaggia. Così la transitorietà delle costruzioni di Weileder è la sfibrante precarietà dell’uomo di oggi; lo specchio straniante che le riproduce, sfalsando i piani ortogonali, induce a riflettere sullo scarto di posizione dell’uomo nella società che egli stesso ha forgiato.
Dal 2002 a oggi, Weileder fa del site specific e della convivenza spazio-temporale tra costruzione e smantellamento la propria cifra stilistica. Tu chiamala, se vuoi, arte sociale.