Le categorie del cinema noir
e horror sono il punto di partenza
della ricerca di
Aïda Ruilova (Wheeling, West Virginia, 1974; vive a New York),
presentata da Francesca Kaufmann in una personale in due tempi.
Il percorso parte e si concentra del tutto intorno a
un’opera video, fulcro della mostra dedicata alla giovane americana. Un
rapporto di coppia travagliato, o forse, più nel profondo, una lotta di
contrari, di identità diverse, di forze opposte, un insieme di stati e di stadi
emotivi ed esistenziali, di perverse dinamiche psicologiche sembrano essere
alla base di
Meet the eyes, video insolito per Ruilova, progettato nel 2009 per la
personale presso lo Hammer Museum di Los Angeles.
La durata, solitamente breve come un videoclip, viene
dilatata fino a sette minuti, in cui l’artista miscela generi e riferimenti
diversi, in cui manipola il linguaggio cinematografico e ne fa il protagonista
del racconto.
L’idea di ossessione, di ripetitività costante di alcune opere della
sua precedente produzione – come
Hey o
Oh no (1999) – o i meccanismi di sintesi, di associazione e
suggestione che sottendono a opere più recenti – come
Life Like (2006) – lasciano spazio a una
narrazione complessa, tuttavia più convenzionale, dove è il montaggio a
intervenire, rallentando, dilatando o sincopando il susseguirsi delle scene e
lo scorrere del tempo, mentre la colonna sonora e la nenia monotona delle voci
degli attori disegnano l’elettrocardiogramma dello spettatore e dei
protagonisti. Che per questa occasione, e per la prima volta, non sono gente
presa dalla strada, messa al confronto con la videocamera, bensì un famoso
artista di Los Angeles,
Raymond Pettibon, e un’attrice professionista.
Il polo femminile è infatti rappresentato da Karen Black,
icona gay, ma anche artista sul viale del tramonto. Fa pensare un po’ ad alcune
note operazioni del nostro
Francesco Vezzoli, ma anche al cinema di
Quentin
Tarantino, alle
prese con un John Travolta o una Palm Grier, questa scelta di coinvolgere una
stella in declino. Sottolineando il leitmotiv
della decadenza, che appare
sfrontata sul volto sensuale ma appassito della donna. Decadenza che emerge
dalle abitudini, dagli interni polverosi e lascivi di una camera da letto dove
si consuma un atto erotico perverso. Decadenza, che è la vera protagonista
dell’intero concept narrativo.
Apparentemente piacevoli e innocui, ma altrettanto
“horror” sono i quadri-oggetto che concludono il percorso espositivo da
Kaufmann, presentando, sull’intero perimetro dello spazio, una teoria di volti,
corpi, personaggi, look, trasfigurazioni
intitolata
A-Z for Fake (2008). Come contemporanee
miniature, ognuna delle tele è la raffigurazione antropomorfa di una lettera
dell’alfabeto in cui le anatomie, ai nastri di partenza stilizzate, con un
gusto tutto
made in Usa, sono esasperate attraverso la tecnica dell’altorilievo, in un
cortocircuito impressionante tra realtà e finzione.