Protagonista della scena emergente californiana di quest’ultimo decennio, la canadese
Monique Van Genderen (Vancouver, 1965; vive a Los Angeles), alla sua prima personale italiana, propone e crea un progetto appositamente realizzato per il nuovo spazio Effearte. Duecento metri quadrati, distribuiti su due livelli, completamente a disposizione dell’artista, pronti a ospitare policromatiche sperimentazioni: “
L’obiettivo a cui punto costantemente è creare profondità su una superficie piana, confondendo un materiale con un altro; l’acquerello con la pittura, la pittura con il vinile”.
Lo sforzo concettuale di Van Genderen indaga le forme più tradizionali dell’astrattismo, riconoscibili grazie a una pittura altamente gestuale, fissata su quadri di grandi dimensioni, ma riproposta o, meglio, attualizzata attraverso l’uso dei materiali più vari. Smalti, pellicole traslucide, film trasparenti, vinili adesivi e riflettenti, tutti di matrice industriale, combinati su pannelli in legno, voluti e pensati come porzione di un grande muro.
In queste opere, lo spazio circostante si propone come elemento attivo e necessariamente legato alla fruizione dell’opera. Una cornice che racchiude il dipinto, un confine non più neutrale o estraneo, ma un luogo in cui essere coinvolti, il primo passo verso una reale astrazione totale. Lo scontro-confronto della materia artificiale con quella naturale è frutto di una serie di esperimenti che hanno spinto l’artista a considerare la propria opera come metafora di un dialogo con l’osservatore: il piacere visivo di un’astrazione carica di variazioni cromatiche, sintesi di codici e pratiche pittoriche rinnovate.
I colori intensi e numerosi, dai gialli sfumati e trasparenti grazie all’uso dell’acquerello, alle tonalità più squillanti del turchese autentico, si fondono con il nero profondo o con l’argento, disegnando macchie, linee e geometrie irregolari che sembrano fluttuare come onde astruse verso un’umida sospensione.
Oltre ai combinati pannelli, l’artista, sfruttando pienamente le diverse sale e i diversi livelli della galleria, presenta due panche in legno nelle quali sono intarsiati tre piccoli libri e un quarto di dimensioni maggiori, veri e propri sketch book consultabili. Le pagine, numerate direttamente a matita, ripropongono gli smalti diluiti dei quadri in mostra, sottolineando nuovamente l’importanza che ricopre per l’artista il dialogo con il fruitore.
Ci troviamo di fronte a una sorta di imperativo pittorico, un “
surfing the walls”, come Van Genderen stessa ha più volte ricordato; una metafora che non solo suggerisce come una varietà di materiali e contesti diventi realmente attiva, ma che si propone come esperienza pura anche per l’osservatore.