E’ un’inchiesta più che una ricerca fotografica quella che Wolfgang Müller porta avanti da nove mesi a San Pietroburgo; metropoli ultracentenaria che vorrebbe mostrare un volto rinnovato nonostante, poi, prendano il sopravvento gli ovvi segnali delle malcelate differenze sociali che ancora conserva.
Un cielo terso e gelido svela i nitidi e incontestabili dettagli di una miseria assolutamente reale, di una discrepanza tra nuovi ricchi e i poveri di sempre, che è impossibile colmare. Sono i bambini quasi ragazzi di Müller a raccontarlo, quelli che vivono per le strade della città rifugiandosi nei sottotetti e nei sottoscala dei palazzi abbandonati. Non solo con i loro volti, ma con le loro stesse vite, immortalate e divenute emblema di una condizione che purtroppo non è solo la loro.
I colori sono forti, eccessivi e le loro vite anche. Solo il cielo di San Pietroburgo mantiene un colore diafano, delicato; tutto il resto è violenza. Ma senza alcun patetismo. Una realtà forte ha plasmato caratteri altrettanto forti: eppure si i protagonisti hanno solo dieci anni o poco più. Si vive di espedienti, ma in qualche modo si vive. A volte si ruba oppure ci si prostituisce, ma si continua a vivere. Poi, certo, c’è sempre la droga, soluzione quasi scontata in un mondo che propone poco altro. “La maggior parte delle ragazze che dormono per la strada sembrano uomini. Questo riduce il rischio di esser violentate”: lo dice Müller, tranqu
Lui –intanto- azzarda le inquadrature, si avvicina a questo mondo con piglio diretto, quasi irriverente, ma i giovani lasciano fare. Tanto si sa che rimarrà sempre uno scarto tra realtà vissuta e realtà fotografata.
Lena, Misha, Tanya, Nadya, Anya, Illya, Sveta e Vova raccontano le loro vite e si lasciano raccontare. Ognuno di loro ha un volto, una storia, un nome e Müller li ritrae con onesta discrezione, per quello che sono: ragazzi, mai vittime. Sono semplicemente i giovani dell’altra Europa.
Ogni immagine è una testimonianza, una dichiarazione oggettiva, autentica. Ogni didascalia è un frammento di vita. E il fatto che le persone ritratte abbiano tutte un nome, anche se fittizio, fa apparire le loro vite ancora più reali, ancora più vicine. A ciò –certo- contribuisce anche il modo di far fotografia di Müller: primi piani, scatti che sanno di estemporaneo, immagini nitide. Terribilmente.
francesca mila nemni
mostra visitata il 30 settembre 2004
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