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25
settembre 2009
Antonio De Pascale (Crispano, Napoli, 1953; vive a Padova) si
ritaglia con la sua opera uno spazio interessante nella continua querelle contemporanea attorno alla
pittura. Una disciplina vista da un lato come musa sacra da preservare e
perseguire, dall’altro come mezzo espressivo lento e desueto, non all’altezza
quindi dei media più idonei a restituire il ritmo della vorticosa
contemporaneità.
L’artista campano, perfettamente conscio del proprio
approccio anacronistico alla questione, osa oggi voler esser considerato,
ancora, “stupido come un pittore”. De Pascale, in realtà maliziosamente concettuale, non
depone tele e pennelli nel cassetto, ma li raffronta all’imperante videocrazia
che ci sovrasta.
Nei suoi dipinti, certosine rappresentazioni sono il
frutto di un’arcaica tecnica volta ad ingannare l’occhio: esempi di nature morte, che
potrebbero esser definite in tutto e per tutto moderne vanitas, dove si dispiegano tavole in
disordine che espongono tanto avanzi di cibo quanto tracce delle loro
confezioni sempre e squisitamente pop-corrette. All’interno delle impeccabili
composizioni, tuttavia, s’intravedono piccoli mondi che, pur interferendo con
il contenitore per un’esplicita drammaticità, ne condividono uno stretto
rapporto.
Fra gli oggetti si scorgono, infatti, piccoli personaggi, tanto
affaccendati quanto ignari del fruitore che li osserva, intenti in drammatiche
azioni di salvataggio: un’équipe di pompieri che, raggiunta la dimensione di un
ditale, si mobilita in un catastrofico pantano di cioccolato Kinder; o altrove
scene più truci, con agenti di polizia che eseguono un sopralluogo attorno a un
biscotto smangiucchiato da ignoti con indicibile crudeltà.
Tutti gli elementi in gioco sono, paradossalmente,
differenti ma similari: frammenti prelevati dall’immaginario pubblicitario entrano
in contrasto con elementi da video-reportage di cronaca nera, rivendicando però
sin da subito il medesimo Dna d’ingredienti interni all’Hellzapoppin’ televisivo, servito ogni giorno
sul tavolo di casa nostra.
De Pascale pare volersi solo gongolare creando bei
“balocchi pittorici”, ma contemporaneamente avanza una riflessione sull’odierno
mondo mediatico che, grondante d’immagini da proporre e riproporre in loop,
tenta di ricreare esso stesso un trompe l’oeil della realtà. Tuttavia, proprio
con tale vacuo quanto inarrestabile movimento esso realizza, al contrario, uno
statico deserto di contenuti, equivalente all’immoto pelo dell’acqua che le
pitture di De Pascale ostentano con la fredda staticità della natura morta.
Pittura concettuale, quindi, che sa essere però anche
terribilmente piacevole, offrendo panorami che non ci si stanca mai di
guardare, nella speranza di ulteriori scoperte. È il piacere dei nostri occhi
curiosi, che scandagliano quei piccoli personaggi alla ricerca di altri mondi
persi fra gli indumenti che anch’essi verosimilmente indossano.
ritaglia con la sua opera uno spazio interessante nella continua querelle contemporanea attorno alla
pittura. Una disciplina vista da un lato come musa sacra da preservare e
perseguire, dall’altro come mezzo espressivo lento e desueto, non all’altezza
quindi dei media più idonei a restituire il ritmo della vorticosa
contemporaneità.
L’artista campano, perfettamente conscio del proprio
approccio anacronistico alla questione, osa oggi voler esser considerato,
ancora, “stupido come un pittore”. De Pascale, in realtà maliziosamente concettuale, non
depone tele e pennelli nel cassetto, ma li raffronta all’imperante videocrazia
che ci sovrasta.
Nei suoi dipinti, certosine rappresentazioni sono il
frutto di un’arcaica tecnica volta ad ingannare l’occhio: esempi di nature morte, che
potrebbero esser definite in tutto e per tutto moderne vanitas, dove si dispiegano tavole in
disordine che espongono tanto avanzi di cibo quanto tracce delle loro
confezioni sempre e squisitamente pop-corrette. All’interno delle impeccabili
composizioni, tuttavia, s’intravedono piccoli mondi che, pur interferendo con
il contenitore per un’esplicita drammaticità, ne condividono uno stretto
rapporto.
Fra gli oggetti si scorgono, infatti, piccoli personaggi, tanto
affaccendati quanto ignari del fruitore che li osserva, intenti in drammatiche
azioni di salvataggio: un’équipe di pompieri che, raggiunta la dimensione di un
ditale, si mobilita in un catastrofico pantano di cioccolato Kinder; o altrove
scene più truci, con agenti di polizia che eseguono un sopralluogo attorno a un
biscotto smangiucchiato da ignoti con indicibile crudeltà.
Tutti gli elementi in gioco sono, paradossalmente,
differenti ma similari: frammenti prelevati dall’immaginario pubblicitario entrano
in contrasto con elementi da video-reportage di cronaca nera, rivendicando però
sin da subito il medesimo Dna d’ingredienti interni all’Hellzapoppin’ televisivo, servito ogni giorno
sul tavolo di casa nostra.
De Pascale pare volersi solo gongolare creando bei
“balocchi pittorici”, ma contemporaneamente avanza una riflessione sull’odierno
mondo mediatico che, grondante d’immagini da proporre e riproporre in loop,
tenta di ricreare esso stesso un trompe l’oeil della realtà. Tuttavia, proprio
con tale vacuo quanto inarrestabile movimento esso realizza, al contrario, uno
statico deserto di contenuti, equivalente all’immoto pelo dell’acqua che le
pitture di De Pascale ostentano con la fredda staticità della natura morta.
Pittura concettuale, quindi, che sa essere però anche
terribilmente piacevole, offrendo panorami che non ci si stanca mai di
guardare, nella speranza di ulteriori scoperte. È il piacere dei nostri occhi
curiosi, che scandagliano quei piccoli personaggi alla ricerca di altri mondi
persi fra gli indumenti che anch’essi verosimilmente indossano.
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Federico Luger Gallery
Via Domodossola, 17 (zona corso Sempione) – 20145 Milano
Orario: da lunedì a venerdì ore 15.30-19; sabato su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0267391341; mob. +39 3494138318; fax +39 0248013785; info@federicolugergallery.com; www.federicolugergallery.com
[exibart]
poche parole: brutta mostra.