Freak alla
Diane
Arbus e situazioni a cavallo della morbosità: questo l’immaginario visivo
che lo spagnolo
Carlos Aires (Ronda, 1974; vive ad Anversa e
Malaga) da sempre cattura in forma di foto o video, e restituisce assemblando e
manipolando gli ambienti espositivi.
Tutta un’altra storia, invece, le
sette opere presentate nella galleria di Allegra Ravizza con l’etichetta
Non
si uccidono così anche i cavalli?, omaggio all’omonimo film con cui
Sidney
Pollack denunciava (era il ’69, ma la vicenda si riferiva agli anni ’30) la
forma di schiavitù con cui i nuovi media soggiogano la fantasia collettiva.
Sette opere realizzate intagliando
con il laser, da vecchi dischi in vinile, sagome di uomini e oggetti; feticci
della cultura classica (si riconosce qua e là il
Perseo di
Benvenuto
Cellini) e nuove icone pop
(vedi la sagoma del
Love di
Robert
Indiana), passando per avvoltoi, corone di spine e squali “in scatola” alla
Damien
Hirst. Il tutto riproposto in raffinati assembramenti d’immagini, quasi
teologie contemporanee, nelle quali l’uomo è sempre l’elemento centrale da cui
si dipanano con ordine fili logici e illogici, collegamenti comprensibili e
pretestuosi. Un valzer di riferimenti a raffica, plasmato con la rapidità e la
potenza visuale propria del linguaggio pubblicitario.
E non è forse un caso se le sagome,
ridotte a nude silhouette, ricordano così da vicino le immagini vettoriali
tipiche della grafica pubblicitaria. E non è forse un caso l’insistito ricorso
alla sessualità più esosa ed esibita. Da spot televisivo.
La tecnica, interessante per potenzialità
evocative, ricorda quella delle
My back pages che
Paul
Villinski ha proposto qualche tempo fa al Mad di New York,
popolando le pareti del museo di farfalle nate da vecchi dischi.
Tutta un’altra storia, si diceva,
rispetto al percorso precedentemente intrapreso da Aires. Ma in fin dei conti,
forse, nemmeno più di tanto: il legame con il recente passato è forte se
guardiamo ai temi del suo fare arte, all’indugiare sugli aspetti più pervasivi
della comunicazione massmediale. I lavori presentati da Allegra Ravizza, in
quest’ottica, costituiscono il naturale evolversi, per nuovi sentieri, di
In
the glass darkly, installazione proposta al Palazzo di Belle Arti di
Bruxelles nel 2005, dove lo spettatore era chiamato a misurarsi con una
galleria di ritratti vip estrapolati da riviste patinate di tutto il mondo.
Si passa dall’immagine piena alla
sua evocazione, dalla realtà in quanto tale al simbolo. Ma il messaggio,
grattando la superficie, resta quello.