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fino al 30.X.2010 | William Cobbing | Milano, Docva

di - 1 Ottobre 2010
Le lampade al neon, parallele sul soffitto, sbiancano
qualsiasi cosa al di sotto. La natura di ogni scambio, di ogni contatto umano è
in parte sfatto, incerto. L’uomo solo continua a girare in tondo, lasciando
impronte sulla sabbia. Pangee in miniatura ruotano come lancette. La terra
guarda in silenzio senza rivoltarsi contro. La terra attornia e isola sempre,
ormai è stato tutto deciso. Ogni individuo è un golem di sangue. Un uomo enorme
fatto si saliva e di quel che si calpesta.

Poco più in là, alla porta qualcuno suona un mezzo busto,
vuoto e in bronzo come una campana. Poi la sagoma di qualcuno attraversa la
sala, qualcuno attraversato da un lungo cannocchiale che tenta di aprire una
porta spalancata. Una porta aperta solo a chi cerca un passaggio. E, senza che
nessuno inviti a entrare, Man in the Planet si fa attorno.

Nell’illusione più chiara e relativa inaugura la prima
personale milanese di William Cobbing (Londra, 1974). Abbandonata la terrena fusione di tombini
urbano-classici (al Camnden Arts Centre di Londra) l’artista inglese ricompone
alla Fabbrica del Vapore alcuni dei suoi lavori più rappresentativi.

Nell’affollato percorso di Man in the Planet rumori, malumori e colori della
terra si trasformano in altrettanti orli, sagome e calchi di corpi. In ogni
lavoro qualsiasi elemento estraneo al completamento della fisiologia umana ne è
l’emulazione percettiva di ogni sua parte. L’uomo è sempre una parte di un
mondo che lo impasta, lo sovrasta e lo può sempre sostituire.


All’entrata l’udito è costantemente sottotiro, le orecchie
vengono percosse. Battiti isolati partono dal mezzo busto di un uomo, fusione
bronzea di una campana sospesa in aria (Clapper tongue). Alla destra della sala, poste
oltre il limite dell’altezza occhio, riflettono due foto specchianti dal titolo
Bamiyan Mirror
(serie fotografica elaborata in Afghanistan e ispirata alla vicenda della
comunità buddista di Bamiyan). Nel centro della sala un golem di cemento – vigilante
piazzato a gambe divaricate – unisce la lunghezza delle pareti con un lungo
tubo di pvc che gli attraversa la calotta cranica (Untitled).

Da vedere è il video Moon walker, un andirivieni peripatetico
dell’artista che registra nel riconoscimento di se stesso l’origine di
qualsiasi ritorno sui propri passi. Da ricordare, inoltre, la performance messa
in scena nella serata d’inaugurazione: un lento processo di clear thinking che Cobbing ha rappresentato con
tanto di martello, scalpello e copricapo di cemento.


Man on the Planet
mantiene fede alla sospensione narrativa più volte
operata dall’artista sugli spazi espositivi, realizzando una dispersione
limbica che rispecchia in pieno ogni sua teoria: “Mi interessa la
transizione tra forma e informe. Nel mio lavoro mi voglio rivolgere all’idea di
entropia, l’idea che le cose assumono una forma temporanea prima di decomporsi
una volta di più. La forma ha qualcosa di fluido: niente resta nel modo in cui
è, tutto viene dissolto e poi disperso
.

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da Furini a Roma

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mostra visitata il 15 settembre 2010


dal 15 settembre al 30 ottobre 2010

William
Cobbing – Man in the Planet

DOCVA –
Documentation Center for Visual Arts

Via
Procaccini, 4 (zona Cimitero Monumentale) – 20154 Milano

Orario: da
martedì a venerdì ore 11-19; sabato ore 15-19

Ingresso
libero

Info: tel. +39
023315800;
info@docva.org; www.docva.org

[exibart]

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