Al di lĂ
delle sciarade allucinatorie, situazioniste e citazioniste del film in bianco e
nero, restano tecnicamente memorabili due elementi. Dapprima, le
sovraesposizioni della pellicola che, in linea con il titolo, accompagnano la
tempesta di sottofondo alla trama (spesso, infatti, a causa dei bagliori
improvvisi, la luce forte nasconde e rende misteriosi molti dettagli). E poi,
le graffiature verticali distribuite in tutte le scene, per rendere il film
apparentemente piĂą vecchio rispetto alle sue origini.
Tenendo in considerazione entrambi questi caratteri tecnici
(sovraesposizioni e linee verticali), Stefano Mandracchia (Brescia, 1976)
installa la sua personale alla Galleria Davide Di Maggio sotto il medesimo
titolo di Thundercrack. L’artista presenta infatti una breve
serie di nuovi lavori che indagano la relazione tra arte e cinema
horror/gotico, sottocorrente sperimentata negli anni ’60-’70.
“In quegli anni”, sostiene Mandracchia, “c’era una forte corrispondenza, una
specie di rapporto di scambio tra cinema horror e una certa avanguardia
artistica”. E quindi? “Il
cinema horror e il tipo d’arte che mi interessa possono comunicare anche solo
attraverso codici visivi autonomi, senza bisogno di sceneggiature o testi
critici”.
In galleria, i lavori reclutano materiali di recupero per
riproporre, in versione astratta e prosciugata, quell’atmosfera di follia
nostalgica istigata da Thundercrack!. I materiali utilizzati (specchi,
nastri adesivi, assi di legno, poster e mollette) sono intenzionalmente poveri,
dichiaratamente di recupero, così come i trucchi e gli espedienti scenici
tipici del cinema gotico. Sulle orme di registi come Mario Bava (maestro indiscusso del genere a livello internazionale)
e Roger Corman (figura di culto tra
i cinefili di tutto il mondo grazie fra l’altro a una serie di film tratta dai
racconti di Edgar A. Poe), che amavano definirsi artigiani piĂą che artisti,
Mandracchia architetta sospensioni ed equilibri tracciando, nello spazio dell’aria,
il passaggio della luce, componente da lui piĂą volte prediletta.
Nonostante la laconica presenza di lavori, la personale ha il
pregio di isolare e poi ritrarre fantomatici cliché del vecchio cinema horror
attraverso le chimere concettual-sibilline dei codici formali contemporanei.
Tra il gusto romantico per i ruderi e le rovine, la pittura di paesaggio,
l’esotico, la decorazione, i virtuosismi architettonici e la retorica degli
opposti, si muove nel mezzo di questo progetto la bipartizione tra
bene/male, buono/cattivo. Presentando ricordi di luci e ombre come sistemi
svaniti di sovraesposizioni e graffiature.
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Mandracchia
e il Videoart Yearbook edizione 2006
Alla
Fondazione Ratti con Alfredo Jaar
In
collettiva a Bologna
ginevra bria
mostra visitata il 7 ottobre 2010
dal 7
ottobre al 30 novembre 2010
Stefano Mandracchia – Thundercrack
Galleria Davide Di Maggio
Viale Monza, 10 (zona Loreto) – 20127 Milano
Orario: da lunedì a sabato ore 11-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0239663874; milano@galeriadavidedimaggio.com; www.galeriedavidedimaggio.com
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Andiamo di lusso. La citazione colta è sempre più colta e la formalizzazione si dimena la massimo. Tutto in linea con Moussoscope. Il lavoro che parte dal basamento nero è anche stuzzicante. Non si tratta di ikea evoluta, quella non basta più: si lancia un 'occhiata sul contorno: gli imballaggi dell'ikea! Cornici, frammenti di immagini, nastri adesivi e aste di legno. Tutto sapientemente formalizzato. E sufficiente questa sensibilità ? Questo autismo da impiegato costretto in ufficio?
Ripeto si tratta del meglio che si possa fare all'interno di un linguaggio ormai stanco. Questo atteggiamento scultoreo fresco (come non ricordare gli assemblaggi in libertĂ di luca trevisani recentemente in sicilia) potrebbe vedere chiunque come protagonista. Viviamo una fase satura di immagini, oggetti e creativitĂ . Siamo pieni di "creativi", ricchi di strumenti (si pensi alla bulimina fotografica introdotta dalle macchine fotografiche digitali) poveri di contenuti (spero che stia leggendo i vari figli di Pier Luigi Celli). Abbiamo bisogno di cretini, quanto meno di una creativitĂ non costretta; questa mi sembra ,appunto, una burocrazia della creativitĂ .
Anzi queste manifestazioni creative ,protette sottovuoto dal white cube, appaiono meno fresche e interessanti di quelle che possono avere come protagonista il nostro impiegato precario, sfruttato e costretto 8-9-12 ore in ufficio. E' come se un amante degli uccelli prendesse un uccello per tenerlo in gabbia. Questo semplice gesto contraddice tutto e rende tutto meno autentico.
il cinema horror è molto cool in questo momento, ma soprattutto la letteratura con tutti i patetici libri sui vampiri, zombetti, harry potter etc poteva aggiungere qualche particolare splatter sugli specchietti crepati magari per essere ancora più cool e spigliato