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fino al 30.XII.2005 | Motoi Yamamoto – White Salt | Milano, Ierimonti Gallery

di - 12 Dicembre 2005

Varcando la soglia della galleria ci si trova subito immersi nell’eterea armonia dell’installazione di Motoi Yamamoto (1966, Hiroshima), affascinante preludio di White Salt, prima personale italiana dell’artista giapponese. Un monito dal suono evocativo e dal ritmo cadenziato sembra avvisare il visitatore: “dove stai andando?”.
Le opere in mostra, tutte intitolate Labirinth 2005, sondano le possibilità artistiche di materiali non convenzionali come il sale e la colla, dei quali Yamamoto si fa sperimentatore: dalle installazioni site-specific alle lamine di alluminio, fino a sconfinare nell’arte applicata.
Metafore del vivere, simboli fluidi che funzionano contemporaneamente su diversi livelli, i labirinti immacolati di Yamamoto non rincorrono suggestioni cromatiche, ma enfatizzano i propri volumi attraverso le luci e le ombre del bianco. Una luminosità impalpabile pervade le minute tracce di sale, millimetriche diramazioni sezionano lo spazio calpestabile, obbligando il visitatore a modificare il proprio percorso. E mentre le insegue con lo sguardo, pensa.
Un evento biografico segna la ricerca dell’artista. Alcuni anni fa Yamamoto perse la sorella, vittima di una grave malattia. Da allora inizia a lavorare con il sale, elemento che, nel costume e nella cultura giapponese è intimamente legato alle cerimonie per i defunti.

L’ultima sembianza che Yamamoto ha visto della sorella è stata infatti la salma purificata dal sale, che ora, diventa veicolo di una memoria che fugge e si trasforma.
I labirinti, meticolosamente delineati, materializzano la distanza tra l’artista e la morte. Il compimento impegna l’artefice per svariare ore e, come lui stesso afferma, è un sacrificio in omaggio alla sorella, un lungo cammino spirituale che li avvicina. Il luogo della memoria. Il sito si trasforma così in uno spazio ritualistico in cui si avvia la comunicazione.
E, ancora più intimista, quella voce fuori campo sembra rispondere al posto del visitatore “adesso non puoi sapere dove stai andando…”. Labirinti di sale che non hanno né inizio né fine, emergono vorticosi e si dissolvono per lasciare il responso al visitatore. Hanno solo un centro, pulsante. Solo quel nucleo può portare alla via di uscita, alla comprensione, e lì, sembra dirci Yamamoto, ci troviamo soli in un silenzio che mette in scena l’umano dualismo tra spirito e materia.
L’uso del sale, che solitamente avviene in quantità modeste, è qui iperbolico. Yamamoto lo astrae dal contesto sociale per elevarlo al concetto di eterno (a breve l’artista realizzerà a Tel Aviv un’installazione che ne utilizza ben 11 tonnellate). Il sale è tangibile ma inafferrabile, è duttile e si piega al disegno del suo contenitore. La sfida dell’artista è di razionalizzarlo con una prassi ascetica, dandogli una forma perfettamente regolare.

Ogni installazione andrà però persa, a testimoniare metaforicamente l’impermanenza della vita e il primato della memoria, che rimarrà sul piano simbolico nelle opere The Vestige Labirinth, piccole scatole in cartone pressato contenenti conglomerati di cloruro di sodio.

silvia criara
mostra visitata il 30 novembre 2005


Motoi Yamamoto – White Salt
Ierimonti Gallery, Via Gustavo Modena, 15 (P.ta Venezia)
Orario: 10,30 – 18,30 – Sabato su appuntamento, domenica e festivi chiuso.
Ingresso libero – Catalogo web: www.mpfem.com


[exibart]

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