Michael Dean (Newcastle, 1977; vive a Londra) dispone
Her body in the same place as my body, per la sua prima personale in una galleria milanese, con il preciso intento di non-stare. Installa, con apollinea precisione, ogni elemento compositivo per sfiorare appena l’aria bianchissima delle stanze, per scansarla, smuoverla di poco, sprimacciarla e infine riattaccarla al senso che il corpo o, meglio, il corpus dei suoi lavori emana. Alla ricerca della sparizione.
L’artista inglese, compiendo un percorso estetico che tende a costruire attraverso neologismi della formalità, dichiara più volte, attraverso meccanismo sottrattivi, di non appartenere. Ogni lavoro è un manifesto del diniego che esplicita il proprio contenuto emotivo attraverso un atto schivo, un gesto vuoto di presenza.
I suoi numerosi e quanto mai muti, imprescindibili
Untitled sono ben distribuiti nelle sale. Ma il centro catalizzatore dell’occhio è la tensione affilata della monocromia, quell’incolore pragmatico che gratta la palpebra dall’interno, per dare forma all’inconsistente del colore dell’ombra. La natura anticipatrice e la verità irreale di ogni opera esposta rende necessaria, fin dal principio, una traslitterazione linguistica e tipologica di ogni composizione, che sembra avere, a causa della sua consistenza impalpabile, una doppia vita, una seconda tridimensionalità oltre il mondo, in un interregno narrativo. Ogni forma ha un debito enorme, un debito di tempo con la prossimità della produzione che l’ha assemblata in un solo gesto, uno spostamento di mani e braccia che rievocano il segno calligrafico.
Pare che queste sculture, fotografie evanescenti o piccole installazioni, non siano altro che un ritaglio, un’emancipazione di un tutto che, prima o poi, all’attenzione di chi guarda, si rivelerà in una lettura di testi e documenti. Dettagli che sfiorano con pesantezza i cieli, i mari, i rami degli alberi riflessi e le cangianze baluginanti. Sembra che, se guardati troppo, si possano ritrarre in un guscio atto a nascondere e a dissolvere la materia, trattata come un corpo femminile. Raccolta, impressa, cambiata e poi lasciata al mondo perfetta, forma da adorare in un tocco.
Fotografie e sculture, in corrispondenza le une con le altre, si lanciano pieghe altere che organizzano la fenomenologia degli elementi ai quali appartengono, formando quasi un volto umano, riconoscibile. Queste manifestazioni antropomorfe, seppur trascendenti, ormai divenute illeggibili rispetto alle loro origini, sono temi poetici.
Così, in un testo lirico diretto all’artista, Francesco Pedraglio scrive: “
La tua poesia si basa su osservazioni e movimenti racchiusi in testi rarefatti e poi trasferiti in opere delicate e restituiti al mondo attraverso le mie – in quanto spettatore – letture ed esperienze. Le corrispondenze tra tutte queste parti sono sempre presenti e devono sempre essere ricercate”.