A un secolo e mezzo dalla nascita, ecco finalmente
l’attesa occasione per “rileggere” le opere di
Emilio Longoni (Barlassina, Milano, 1859 –
Milano, 1932). Sì, perché la mostra alla Gam mette a confronto, per la prima
volta, le collezioni della Banca di Credito Cooperativo del comune natio e le
tele in possesso della Galleria d’Arte Moderna. Offrendo completezza di vedute
e rigore scientifico.
La curatrice Giovanna Ginex, specialista dell’artista, ha
allestito un percorso che permette di seguire appieno e apprezzare l’evoluzione
di un pittore che, nonostante sia studiato dagli anni ‘80 (compresi vari
tentativi di sistematizzazione generale della sua opera), n

on aveva ancora
beneficiato di un approfondimento che indagasse con i più aggiornati strumenti
diagnostici la fisicità stessa della sua pittura. La mostra milanese, invece,
permette di apprezzare proprio questo aspetto, utilizzando una prassi
scientifica solitamente riservata all’antico, ma finalmente ora allargata anche
ai tempi moderni e in particolare al nostro Divisionismo.
Si parte dunque dalle nature morte più vere del vero,
eseguite per la crema della borghesia milanese – vedi alla voce Treves – per
giungere ai delicati ritratti di bimbi e fanciulle, tutte trine e merletti.
L’opera della svolta è del 1891, quando alla prima Triennale di Brera Longoni
presenta
L’oratore dello sciopero, apoteosi dell’estetica divisionista e manifesto del
sentimento politico filo-operaio, con tanto di pugno chiuso degno del miglior
Pellizza
da Volpedo, così
che fece grande scalpore. Lo troviamo qui in mostra – non lo si vedeva dal ’79
– intelligentemente accostato alle
Due madri di
Giovanni Segantini, altro capolavoro di corrente che
fu esposto sempre nel 1891.
Da sottolineare la stupefacente bellezza – tutta tecnica,
e che tecnica! – dei lavori a pastello: il confettoso
Ritratto di giovinetta
in rosa (1891-94), lo sconvolgente e scarnificato
Melanconie (1895), il mistico e panteista
Disillusa
(1914); la maestria
dei paesaggi (montagna o lago, poco importa, anche se la salita in vetta diventa
quasi un’ascesi mistica); la luce liquida e la solida, palpabile materia dei
Ghiacciai e delle
Trasparenze alpine.

Notevole anche il catalogo Skira, che si apre con le note
autobiografiche che l’artista tracciò negli anni della maturità: una
prospettiva originale, che ci addentra nel mondo certo non idilliaco della sua
infanzia in campagna e dei duri inizi nelle botteghe cittadine. Un percorso a
ostacoli, che però lo portò a eccellere, al punto che oggi è tra i maestri
riconosciuti non solo del Divisionismo, ma anche del Verismo e del Simbolismo.