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Alfredo Jaar, artista, architetto e regista nato a Santiago del Cile nel 1956, vive e lavora a New York dagli anni ’80, con le sue opere smuove le coscienze assopite sotto coltri di cinismo e indifferenza nell’epoca della globalizzazione, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono la maggioranza, ma non fanno testo, non producono e non consumano e dietro un grande potere, ci sono sempre “schiavi”. Queste e altre tematiche sociali, contro la disuguaglianza economica, la mancanza di democrazia, la denuncia del fenomeno del nuovo schiavismo, la violazione dei diritti umani, sono il fil rouge delle sue opere politiche. Qual è il ruolo culturale dell’artista nell’epoca della globalizzazione? Siamo immersi nello tsunami di informazioni e immagini spazzatura Instagram, dove perdiamo con la nostra identità, il valore della vita e il rispetto degli altri, allora l’arte deve porci domande, così reagisce all’indifferenza collettiva Jaar.
Nel 2008 a Milano, Alfredo Jaar in occasione della sua mostra personale all’Hangar Bicocca, dal titolo “It Is Difficult”, ha ideato una operazione di Arte pubblica senza precedenti con l’affissione di grandi manifesti neri dal centro alla Hangar Bicocca , sui quali comparivano domande scritte con lettere in rosso sul ruolo dell’arte, dell’intellettuale, del potere e della cultura. Queste sono di sconcertante attualità e rivelano l’essenza etica del suo lavoro. L’artista cresciuto nel Cile di Pinochet torna a Milano dopo dieci anni con una imperdibile mostra personale “Lament of the Images”, ideata per la galleria di Lia Rumma, dove luce, colore (rosso, bianco e nero) educano lo sguardo dello spettatore, mettendolo nelle condizioni di non dare tutto per scontato, perché ogni singola immagine contiene una concezione del mondo, informazione sull’esistenza con pochi elementi minimali, inscenati in relazione allo spazio preesistente. Le sue opere formalmente semplici, per chi conosce il suo lavoro, s’imprimono nel cervello e innescano riflessioni, analisi e emozioni. Per la Galleria-museo Lia Rumma, Jaar ha puntato sulla contrapposizione buio/luce, a partire dal piano terra con l’immersione nella sala oscurata dove ipnotizza la scritta al neon rosso: WHAT NEED IS THERE TO WEEP OVER PARTS OF LIFE? THE WHOLE OF IT FOR CALLS FOR TEARS (Che bisogno c’è di piangere momenti della vita? La vita intera è degna di pianto), una citazione di Seneca tratta dal “De Consolatione ad Marciam”. Sono di struggente bellezza le lettere scarlatte disposte a muro, come una pioggia di lacrime o lapilli incandescenti a caratteri cubitali e oblique che alludono al testo. Si tratta di un lavoro in riferimento al progetto pubblico che Alfredo Jaar sta realizzando per l’Artline, il Parco di Sculture di City Life a Milano, a cura di Roberto Pinto: un grande cubo di cemento, attraverso la cui vetrata rossa il visitatore può osservare la città “filtrata” dal colore rosso. Un segno forse nostalgico, sicuramente lucido dell’artista cileno in merito al tramonto della sinistra e non solo italiana.
Alfredo Jaar, Lament Of Things, vista della mostra
Al primo piano, dall’oscurità si passa alla luce, con l’installazione cinetica Lament of the image, che dà il titolo alla mostra, comprensiva di due grandi tavoli fotografici luminosi, utilizzati nei laboratori fotografici per guardare i negativi, uno rovesciato sull’altro, entrambi hanno la superficie retro illuminata e bisogna attendere il movimento del tavolo superiore vedere diverse gradazioni della luce per cogliere un orizzonte luminoso fino all’oscurità, un monito poetico a fare “tabula rasa” di troppe immagini, informazioni e cose futili della quotidianità, d’intrattenimento, che ci distraggono dal senso della vita , preziosa in ogni istante. Dalla meditazione filosofica inscenata in un algido tempio white cube, al secondo piano con Shadows, la cronaca attraverso la fotografia documenta la realtà che nel tempo si fa storia. Questo lavoro fa parte della trilogia, iniziata con The Sound of Silence, esposta nel 2008 all’Hangar Bicocca a Milano, in cui Jaar investiga il potere e la politica delle immagini iconiche. Superato un corridoio buio, tipo camera oscura, in cui spiccano sei piccoli lightbox, una intensa sequenza di immagini del fotoreporter olandese Koen Wessing scattate in Nicaragua nel 1978, che documentano la cronaca della morte di un contadino ucciso dalla Guardia Nazionale del regime di Somoza nei drammatici giorni della guerra civile, si entra in una stanza più grande e qui fermatevi. Anche questa sala è oscurata, dove compare l’immagine abbacinante di due donne, le figlie del contadino, nell’istante in cui sono state informate della barbara uccisione del padre. Queste donne in un crescendo di pathos, annichilite dal dolore, come in un film neorealista, alzano le braccia al cielo. È un gesto che si cristallizza in una immagine di due sagome di luce che lentamente diventa accecante e si fissa nella retina dello spettatore. La percezione di questa straziante espressione del dolore contenuta in un bagliore di luce di un milione di Volt (dura 30 secondi) è abbacinante, come lo sperimenterete sul campo, quando si ripresenterà per almeno 30 minuti nel vostro sguardo. Un flash che si imprimerà nella vostra memoria, contro la mattanza e imperituri genocidi umani.
Jacqueline Ceresoli
Mostra visitata il 19 ottobre
Dal 18 ottobre 2018 al 31 gennaio 2019
Alfredo Jaar, Lament Of Things
Galleria Lia Rumma
via Stilicone 19, Milano
Orari: da Martedì a Sabato, dalle 11.00 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 19.00
Info: info@liarumma.it www.liarumma.it