La seconda mostra consecutiva alla galleria De Carlo con la formula due personali più una collettiva offre al pubblico milanese la possibilità di incontrare di nuovo dopo pochi mesi Amy Adler (New York,1966), in occasione di un cambio radicale (almeno nelle premesse) nella sua ricerca: il passaggio dalla fotografia alla pittura. I dipinti raffigurano due ragazze che si accapigliano, intrecciando i loro corpi in una lotta piuttosto statica. I visi delle protagoniste sono sempre coperti dai capelli e, ciò che più conta, le due ragazze sono del tutto simili tranne che nell’abbigliamento, tanto da far pensare che esse rappresentino i vari sè che combattono per prevalere (o infine fondersi) nella difficile costruzione dell’identità contemporanea. La resa è piuttosto fredda, monolitica, anche a causa delle tonalità scure che, piuttosto che “inglobare i soggetti nello spazio” come l’artista dichiara, respingono lo sguardo dello spettatore. Lo stile è influenzato dal fumetto e si distacca dalla compresenza di leggerezza e profondità che permeava le serie fotografiche della Adler.
“Sono passata alla pittura –dichiara l’artista ad Exibart– per continuare il mio sforzo di vedere le cose da diversi punti di vista, e, anche se nelle mie serie fotografiche era presente il disegno (si trattava infatti di una sorta di “fotografia performativa”, ndr), non mi interessava come mezzo, per me erano lavori prettamente fotografici. Nel prossimo futuro intendo continuare a dipingere”. E difatti un’ulteriore ricerca della pittura appare opportuna, davanti a questi quadri non gradevoli esteticamente senza che ciò sia motivato dalla trasmissione di particolari significati o da una spiccata concettualità.
La vera esplosione di fantasia e immaginazione è portata in galleria dal collettivo viennese Gelatin, fondato nel 1990, alla cui arte sarebbe opportuno riferirsi con un nuovo termine che riassuma installazione, performance, patafisica e ironia scanzonata. Basti dire che al primo piano della galleria gli austriaci hanno costruito un ottovolante dall’aspetto artigianale e apparentemente instabile e insicuro. La struttura è di legno, l’abitacolo è una consunta poltrona d’automobile e l’avviso che la struttura “non è collaudata nè collaudabile” fa il resto per scoraggiare il visitatore che avesse intenzione di provare la struttura..
La collettiva “Due” risulta piuttosto trascurabile: spazio sacrificato, opere minori, idea curatoriale quasi inesistente che si configura come un pretesto (in questo caso il doppio, la coppia, la specularità).
Appare evidente, dopo le prime due esperienze espositive in questa sede, come gli spazi della galleria non siano sfruttati nel migliore dei modi: sarebbero auspicabili o una collettiva più estesa che sfrutti appieno gli ottimi nomi di cui De Carlo può disporre oppure personali più esaustive rispetto agli ‘abbozzi’ fin qui tentati.
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Ma la Adler non faceva la parucchiera prima del successo nell'arte? Sì, sì è proprio lei.