Da Sperone con furore. Milano rinnova i suoi contatti con New York: il tramite è quella pittura astratta che deriva chiaramente le proprie istanze dalla generazione gloriosa di Jackson Pollock, ma che media con il tempo imbarcandosi in un’avventura Pop, con un segno netto, definito, quasi progettuale. Stiamo parlando di Jonathan Lasker (1948, Jersey City, NJ), in mostra nel nuovo ambiente dell’omonimo spazio meneghino. Dodici opere inedite, realizzate dall’artista nel 2004, raccontano una maniera di dipingere che in America non ha mai avuto conclusione. Un’avventura nata con l’Action Painting, ma che, nel corso del tempo ha mutato soggetti e riferimenti, cancellato ogni desiderio introspettivo e sfumatura filosofica, ritornando sì a vagheggiare recuperi di geometrie antropologicamente lontane, ma con un atteggiamento quasi da archeologo. Con gesto misurato, quasi chirurgico, che sottrae alla terra il frammento dimenticato e ne ricostruisce le tracce.
Le superfici di Lasker diventano così campo neutro di sezioni ambigue, in cui alla matericità dell’olio, scavato impietosamente dalla bocca del tubetto, fa da contraltare il disegno, che tanto ricorda le soluzioni Pop, in un remix crudele di tutta la cultura americana, di cui Lasker, giunto negli anni Settanta al successo, è erede per diritto.
Con un lavoro che a noi, europei bombardati dalla spettacolarizzazione postmoderna di Cattelan e della Young British, apparirà magari molto datato, ma che oltreoceano conserva ancora la sua ragione d’esistere. Perché, non va dimenticato, si tratta della rielaborazione di quella che negli Stati Uniti comincia ad essere catalogata come tradizione. Lasker dunque tira le fila di un discorso, reinterpreta in senso contemporaneo il repertorio pittorico locale, togliendogli il furore eroico, con un fare che conserva il desiderio di una manualità primitiva ed insieme un lirismo dato dalla materia del colore e dal suo spessore. Le matasse segniche, i gangli pollockiani evolvono in reti dalle geometrie ferree, i cui contrasti di colori puri scandiscono il tempo di fruizione dello spettatore. Lo organizzano in lassi opportunamente regolati, immemori della disperazione dell’atto creativo, fissi come volti di sfingi disintossicate dal male di vivere dell’esistenzialismo. Ed è lì che le nostre sensazioni si confondono con l’esperienza puramente mentale.
santa nastro
mostra visitata il 22 febbraio 2005
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