Si può individuare una vera e propria scuola di Lòdz. Di artisti ovvero che sono nati o che hanno studiato nella città polacca e che hanno in comune una predisposizione, seppur macabra, all’ironia ed una certa tendenza al kitsch, dalle tinte forti ed accecanti. Tra questi possiamo elencare il gruppo dei Lodz Kaliskas, la fotografa Anna Orlikowska e Karolina Bregula. Nelle opere di questi artisti, qualunque sia il medium prescelto, prevale un atteggiamento del tutto performativo, cui s’aggiunge una tendenza innata al “comporre le cose” in simulacri, in cui ogni sorta di squilibrio è calibrato dalle istanze dell’artista. Mentre il movimento, sia esso filmato, fotografato o dipinto, ha le caratteristiche di una danza ritmata che concede poco spazio all’improvvisazione. Anche il rapporto con la realtà assume delle fattezze del tutto particolari. Pur trasposto con atteggiamento spesso documentaristico, talvolta amatoriale, si rivolge a situazioni surreali, ad incontri improbabili con gli oggetti, con uno sguardo decentrato, bislacco, da Alice in Wonderland.
Di questa balda schiera fa parte anche Cezary Bodzianowki (Lodz, 1969), in mostra da Zero, a Milano. Con una personale notturna, dislocata tra terrazzo e cantina della galleria, che parla d’amore. Dei suoi trucchi, dei suoi inganni. Al piano superiore si trova il Giulietta Project con due video e un’installazione. Si parte da Alibi, reportage di una performance in cui l’artista, il volto incorniciato da una tempesta di cuori, offre, con una cadenza fissa, la lingua ai legami del sentimento.
Gli si accompagna Little Beat. Anche qui la chiave di lettura è il ritmo, ovvero il battito, sia questo musicale, sia, invece, lo spasimo di un cuore innamorato. Anche qui emerge una concezione distaccata, seppur palesata con ironia, dell’amor profano. Bodzianowki infatti viene colto dalla telecamera nell’atto di auscultare, con occhio scettico, i messaggi lasciati dai passanti sotto il balcone di Giulietta a Verona, alla ricerca di una purezza non estemporanea.
La cantina offre, invece, spunti meno romantici. Anche qui due video, entrambi realizzati durante la permanenza dell’artista a Milano, nell’appartamento in cui ha soggiornato. Costituisce da elemento chiave della sua poetica, infatti, l’analisi degli ambienti in cui si trova a lavorare e l’inserimento all’interno di essi dell’elemento estraneo, in molti casi il suo corpo stesso. Il primo, Mission Possible, accosta alla nota colonna sonora di James Bond, l’immagine del ventre dell’artista strizzato, con una gestualità regolare e rituale, quasi ad invocare un istantaneo dimagrimento. Il secondo, Tao, traendo spunto dall’immensa iconografia cinematografica del fumatore, ne capovolge il significato e la colloca in un contesto bizzarro, fuori dal normale, ai limiti del ridicolo.
L’atto di fumare diventa infine metafora della vita e dello scorrere del tempo. Al suo lento consumarsi infatti è legato il desiderio estremo del condannato a morte, in cui l’ultima boccata rappresenta il gran finale.
santa nastro
mostra visitata il 10 marzo 2007
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che schifo di mostra mamma mia, al peggio non c'è proprio limite