Dall’Europa della Swiss Re Tower di Londra agli Usa di Cape Canaveral, dal Sudamerica di Brasilia all’Asia di Tengiz, lo spettatore è condotto da
Andrea Zucchi (Milano, 1964) attraverso una serie di luoghi che testimoniano quella mondializzazione che fa sì che ognuno possa riconoscere un’architettura, anche se si trova in Paesi distanti dal proprio e, senza averla mai vista dal vivo, sentirla parte del proprio bagaglio culturale.
Probabilmente non esistono più i “
luoghi estranei e non posseduti” che Italo Calvino descriveva nelle
Città Invisibili e ormai è difficile per un viaggiatore sentire “
l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi”: tutto è globalizzazione, tutto appartiene all’uomo-cittadino del mondo.
È da questa suggestione che parte la sfida proposta dalla mostra
Spaesamenti. L’artista vuole sconvolgere i punti fissi dell’uomo occidentale, ormai abituato a sentirsi padrone di ciò che lo circonda, dimostrando che anche nei paesaggi più familiari, nelle realtà più note può nascondersi un altro punto di vista,
una prospettiva insolita, un’eccezione ancora in grado di stupire.
Non è l’ambiente dipinto a farci sentire estranei a esso, e nemmeno le figure in primo piano, animali o uomini di diverse etnie, già perfettamente codificati nella nostra mente. Ciò che attrae l’attenzione è il rapporto, che resta indefinito, tra lo sfondo e i personaggi che lo popolano: aborigeni nella cattedrale di Praga, una donna col burqa al Guggenheim di Bilbao, un’aquila nel cielo di Torino, un babbuino davanti alla cattedrale di Chartres.
Con abile tecnica pittorica, Zucchi sceglie di utilizzare le stesse tonalità cromatiche sull’intera superficie delle tele e delle carte presentate. La monocromia dà l’impressione che non ci sia niente di insolito nell’accostamento di mondi tanto distanti l’uno dall’altro, come se -fondendosi attraverso la luce e il colore- potessero dar vita a una nuova realtà, tanto estraniante quanto possibile.
Il lavoro dell’artista milanese si basa in primo luogo su una ricerca in ambito realizzativo e pittorico; il significato delle immagini proposte non è poi così fondamentale, ammesso che esista. Come osserva il curatore Luca Beatrice, “
le cose stanno bene insieme non perché potrebbero voler dire la stessa cosa, ma per vicinanze strutturali, cromatiche, principianti da elementi denotativi che solo in seguito possono diventare connotativi”.
Le figure che dal primo piano del quadro fissano lo spettatore, direttamente negli occhi, lo rendono parte integrante dell’opera: senza la sorpresa generata da quest’ultima in chi la guarda, se ne affievolirebbe il significato. Anche in questo senso, i quadri di Zucchi si pongono come installazioni ambientali, la cui stessa grandezza permette allo spettatore di sentirsi coinvolto. Di avere l’impressione di poter entrare a farne parte.