Negli anni Trenta il dibattito sul ruolo della fotografia era molto acceso. Fiumi di parole si riversavano a sostegno delle due opposte fazioni: si discuteva -ancora e col tipico ritardo tutto italiano- sulla possibilità di considerare la fotografia un’arte o un mero strumento documentaristico. Diatriba che in altri Paesi era stata già risolta e archiviata.
Giuseppe Cavalli (Lucera 1904, Senigallia 1961), con determinazione e profonda lucidità, s’inserì in questo dibattito ed espresse la sua posizione con “parole e fatti”, difendendo la completa autonomia del mezzo, che doveva esprimersi “con un linguaggio indipendente e vivo”, in un momento in cui la fotografia era ancora bloccata su canoni estetici ispirati alla calcografia, alla litografia e all’incisione, liberandola definitivamente dal dominante pittorialismo. Numerosi furono, infatti, i suoi scritti, tra cui Otto fotografi italiani d’oggi (1942), da cui fu tratto il manifesto programmatico del gruppo fotografico La Bussola, ufficialmente costituito a Milano nel 1947 all’indomani della sua pubblicazione sulla rivista Ferrania, firmato oltre che dallo stesso Cavalli, da Mario Finazzi, Federico Vender, Ferruccio Leiss e Luigi Veronesi. Mentre La Bussola vedeva, tra i componenti, oltre ai firmatari del Manifesto, fotografi quali Vincenzo Balocchi e, in un secondo momento, Fosco Maraini. Lo stesso anno l’allora Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti Ranuccio Bianchi Baldinelli, lo incaricò di fotografare le porte bronzee appena restaurate del Battistero di Firenze, un lavoro che lo impegnò per circa un anno, da cui nacque un volume fotografico completamente dedicato alla Porta del Paradiso. Dopo il suo trasferimento a Senigallia, fondò nel 1954, l’Associazione Misa che attirò molti giovani talenti, dei quali fu indiscusso maestro, tra cui Mario Giacomelli e Piergiorgio Branzi.
Nonostante molti si siano ostinati a relegarlo esclusivamente nel “campo amatoriale”, Cavalli è stato ampiamente riconosciuto nella sua importanza anche fuori dei confini nazionali, riconoscimento testimoniato dalla partecipazione a numerose mostre all’estero: a Lisbona, Colonia e New York. Mentre è del 1958 l’assegnazione del premio Soffietto d’oro.
Circa novanta foto, tutte in bianco e nero, di medio e piccolo formato, dichiarano apertamente il ruolo che secondo Cavalli spettava alla fotografia, definitivamente innalzata ad arte. Posizione questa che sicuramente risente dell’influenza dei fratelli pittori (il maggiore Pasquale ed il gemello Emanuele, quest’ultimo importante esponente della Scuola Romana) e dell’imperante estetica crociana, da cui sembrano mutuate espressioni come “concetto di bellezza” e una visione dell’arte come strumento per “portare ordine nel caos”.
“ È dunque possibile essere poeti con l’obiettivo come col pennello, lo scalpello, la penna: anche con l’obiettivo si può trasformare la realtà in fantasia: che è l’indispensabile e prima condizione dell’arte”, dichiara Cavalli in uno dei suoi scritti. E la sua poesia fotografica viene espressa con una precisa scelta tecnica, quella dei toni alti, chiari, tendenti al bianco. È la luce la sua sigla stilistica, accompagnata da un certo rigore compositivo e dalla semplicità formale. Gli scatti sono suddivisi in sezioni che rispecchiano i campi di ricerca affrontati (Paesaggi, Nature morte, Ritratti, Nudi e Marine) e i titoli rappresentano importanti chiavi di lettura delle fotografie. Non mancano note di ironia (L’ultima curva, del 1939 o Vedetta, del 1938), di profonda desolazione (Tristezza a Bergamo, 1953) nonché di testimonianza della sua epoca (Una fiera di paese nell’Italia del Sud, 1959), attraverso un simbolismo semplice ma universale, dove i longhiani “soggetti minimi” perdono la loro importanza e sono scelti per il loro valore squisitamente estetico. Tutto questo indiscutibilmente pone Cavalli sullo stesso campo di ricerca, per l’uso del mezzo fotografico, condotto da Alfred Stieglitz ed Edward Weston.
daniela trincia
mostra visitata il 7 aprile 2006
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Bravo A.Gilardi mi piace la tua ironio!
Don Ando Gilardi..che affermazione ridicola che ha fatto... dopo mezzo secolo si potrebbe ben dire che non ha capito nulla...oppure...è un fotografo da prime comunioni. In ogni caso, se vuole recuperare questi 5o anni...inizi ad andare scalzo in pellegrinaggio davanti le foto di Helmut Newton a Milano..se fa in tempo. pardon...
sembra impossibile! Molti continuano a proclamare che pure la Fotografia è Arte, ovviamente moderna!!! Come se fosse un merito!!!
Studio e faccio Fotografia da mezzo secolo e posso garantire che la Fotografia non è Arte,
RINGRAZIANDO DIOOOOO!
epperò, Ando, come suona male "faccio fotografia"!
suona un po' come "faccio sesso" invece di "scopo" e/o "faccio l'amore"
evidentemente fai servizi matrimoniali
non posso non unirmi al coro di stupore e di ironia, ma non posso non trattenermi dal porre un'ulteriore domanda: come mai, secondo colui "che fa fotografia da 50 anni", la fotografia non è arte?