Tra scultura e architettura, l’aria trema e si colora, illuminando, quasi venisse sciolta sui propri supporti, la terza personale di
Pae White (Pasadena, 1963; vive a Los Angeles), allestita come di consueto site specific per la galleria Kaufmann.
In questa mostra, l’impiego delle forme, la loro restituzione al reale e gli oggetti artistici da esse avvolti diventano tre creature a sé stanti. Tre artifici formali, che perdono il ruolo di segni estetici per fondersi direttamente con i codici, con gli alfabeti monocromi della materia. Con quegli stessi tasselli, disposti come porzione di materia, che l’artista losangelina maneggia versatile, senza porre troppe differenze fra gli inganni della bidimensione e gli effetti “sollevati” dalla nozione tridimensionale.
Alle pareti si trovano nove dipinti ideati, anche se non direttamente composti, dall’artista statunitense; nove finestre acquee che creano, inattesi, rimandi e corrispondenze con le forme che White predispone nel progetto dell’unica installazione-scultura di questa mostra.
Le componenti astratte di quest’ultimo lavoro, infatti, definito appieno dal titolo
Suncloud, si possono semplicemente giustapporre all’effetto baluginante dei colori sulle tele. Dipinti che catturano luci e oggetti, per trasporli nel reale attraverso la sospensione di linee e confini; zolle cromatiche assimilabili agli stessi esagoni appesi in verticale, a centinaia, su fili che scendono dal soffitto.
La curiosità suscitata da questi dipinti è la fantasmagoria che rilasciano, formando una sorta di traslitterazione allucinatoria della composizione. Una serie di sette differenti scenari, senza visione prospettica, ben espressa dall’enigmatico titolo:
Around the World in 11-14 minutes. La serie riporta, attraverso le forme molli della raffigurazione, stratificazioni caratterizzate da una plasticità quasi inspiegabile, la sovrabbondanza semantica che ha colpito l’artista durante un viaggio a Dysneyland.
Pae White era rimasta incuriosita da come e quanto fosse rappresentata la realtà del mondo, all’interno di un ambiente creato per il divertimento, in un’oasi di valori riprodotti dall’installazione dysneyana
It’s a Small World. Il percorso, inaugurato nel 1971, presenta figure robotiche travestite da bambini di tutto il mondo che intonano la canzone pacifista che dà il titolo a questo paesaggio. Il risultato pittorico di White è un rimescolamento di colore e suoni che prendono come tramite l’identità razziale per sovrapporre macchie di colore, elementi senza omogeneità che si assomigliano per vicinanza, sdilinquendosi senza più un’attitudine formale e stereotipata.
Il senso di sospensione e meraviglia che pervade la galleria è solo un motivo. Un effetto, forse, che cattura tutte le sfaccettature della luce e le fa perdere la definizione di bellezza. Dove la natura serve per dare spazio alla materia, che ormai ha il solo scopo di giustificare l’esistenza, lontana, del mondo.