Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
08
luglio 2009
C’era una volta il white cube, il contenitore asettico e impersonale dalle bianche pareti, in cui era l’energia dell’opera d’arte l’unico vincolo comunicativo fra esposizione e spettatore.
C’era una volta, perché adesso non c’è più. Double Hunchback scardina la concezione contemporanea di allestimento espositivo, per creare un nuovo approccio alla pratica sia espositiva che curatoriale. Opere scelte per la propria valenza, privilegiando la semantica piuttosto che la sintassi, senza vincoli di inedizione, senza paura di guardare indietro nel tempo.
Due artisti più uno, in mostra. Tre le opere protagoniste, senza essere comunque l’unica presenza in galleria. L’impronta del curatore – anch’egli artista, Luca Francesconi – si manifesta non solo nella scelta dei lavori presentati, ma anche nella manipolazione dello spazio, nell’inserimento di elementi estranei ai pezzi; quasi una costruzione scenografica, che trasforma le singole parti in un’unica entità olistica: “Doppio Gobbo è una mostra sulla trasmissione dell’energia intesa secondo tutti i suoi significati”, ammette Francesconi nel suo testo.
Effettivamente, ha una doppia gobba Suppellex, primo dei due lavori presentati da Emmanuelle Lainé (Parigi, 1974): una scultura postindustriale, indecifrabile, roboticamente zoomorfa, artificialmente naturale, drappeggiata come un marmo del Bernini e contemporaneamente fustellata, quasi a sembrare pronta per esser ripiegata e riposta.
L’energia di cui parla il curatore è espressa in modo fisico e tangibile nelle opere dell’artista francese, soprattutto in Extraballe, estensione fuori scala delle palline rimbalzanti con cui si giocava da bambini, qui per contrappasso ferma sul pavimento, immobile, pronta a scattare come una molla al minimo sollecito, trasparente ma non intangibile, dall’aspetto marmoreo e pesante, in netta contrapposizione con la sua natura mobile e cinetica.
Risponde al polimorfismo di Lainé un quadro del 1995 di Merlin James (Cardiff, 1960; vive a Glasgow). Un dipinto che non si esaurisce sulla tela; una superficie pittorica trasformata in materiale scultoreo, su cui l’artista non interviene esclusivamente con il colore, ma dove compaiono inclusioni e strappi, lacune e aggiunte, buchi, inserimenti che rimangono sul retro, invisibili nella modalità installativa classica di un’opera a parete. Che, infatti, a parete non è, bensì appoggiata al pavimento, pronta per la fruizione a tutto tondo.
Oggetti della tradizione popolare comune denotano lo spazio occupato dalle opere in mostra. È l’intervento del curatore, che sceglie di manifestarsi, di far diventare una pratica tradizionalmente invisibile e intellettuale presenza percepibile e concreta.
Non solo una mostra, non solo una galleria: l’esperienza artistica diventa una partecipazione compenetrata, un cross-over fra i ruoli istituzionali dell’arte, per una sperimentazione possibile. E del tutto auspicabile.
C’era una volta, perché adesso non c’è più. Double Hunchback scardina la concezione contemporanea di allestimento espositivo, per creare un nuovo approccio alla pratica sia espositiva che curatoriale. Opere scelte per la propria valenza, privilegiando la semantica piuttosto che la sintassi, senza vincoli di inedizione, senza paura di guardare indietro nel tempo.
Due artisti più uno, in mostra. Tre le opere protagoniste, senza essere comunque l’unica presenza in galleria. L’impronta del curatore – anch’egli artista, Luca Francesconi – si manifesta non solo nella scelta dei lavori presentati, ma anche nella manipolazione dello spazio, nell’inserimento di elementi estranei ai pezzi; quasi una costruzione scenografica, che trasforma le singole parti in un’unica entità olistica: “Doppio Gobbo è una mostra sulla trasmissione dell’energia intesa secondo tutti i suoi significati”, ammette Francesconi nel suo testo.
Effettivamente, ha una doppia gobba Suppellex, primo dei due lavori presentati da Emmanuelle Lainé (Parigi, 1974): una scultura postindustriale, indecifrabile, roboticamente zoomorfa, artificialmente naturale, drappeggiata come un marmo del Bernini e contemporaneamente fustellata, quasi a sembrare pronta per esser ripiegata e riposta.
L’energia di cui parla il curatore è espressa in modo fisico e tangibile nelle opere dell’artista francese, soprattutto in Extraballe, estensione fuori scala delle palline rimbalzanti con cui si giocava da bambini, qui per contrappasso ferma sul pavimento, immobile, pronta a scattare come una molla al minimo sollecito, trasparente ma non intangibile, dall’aspetto marmoreo e pesante, in netta contrapposizione con la sua natura mobile e cinetica.
Risponde al polimorfismo di Lainé un quadro del 1995 di Merlin James (Cardiff, 1960; vive a Glasgow). Un dipinto che non si esaurisce sulla tela; una superficie pittorica trasformata in materiale scultoreo, su cui l’artista non interviene esclusivamente con il colore, ma dove compaiono inclusioni e strappi, lacune e aggiunte, buchi, inserimenti che rimangono sul retro, invisibili nella modalità installativa classica di un’opera a parete. Che, infatti, a parete non è, bensì appoggiata al pavimento, pronta per la fruizione a tutto tondo.
Oggetti della tradizione popolare comune denotano lo spazio occupato dalle opere in mostra. È l’intervento del curatore, che sceglie di manifestarsi, di far diventare una pratica tradizionalmente invisibile e intellettuale presenza percepibile e concreta.
Non solo una mostra, non solo una galleria: l’esperienza artistica diventa una partecipazione compenetrata, un cross-over fra i ruoli istituzionali dell’arte, per una sperimentazione possibile. E del tutto auspicabile.
articoli correlati
Merlin James e Turps Banana
guia cortassa
mostra visitata il 25 maggio 2009
dal 25 maggio al 31 luglio 2009
Merlin James / Emmanuelle Lainé – Double Hunchback
a cura di Luca Francesconi
Fluxia Gallery
Via Ciro Menotti, 9 (zona Piazzale Dateo) – 20129 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 14.30-19 o su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +3902 45474021; info@fluxiagallery.com; www.fluxiagallery.com
[exibart]
Sotto fluxia c’è bonelli e/o collezionisti. cosa ammirevole, ma quando la critica d’arte si intreccia con l’economia dell’arte in tempi di crisi si rischia la ripetizione sicura di alcune logiche. Ammirevole l’ integrazione (del “curatorartista”) delle opere con alcuni semplici “oggetti”. Ma forse non basta. Siamo sempre prigionieri di un’archetipo rassicurante e un po’ spuntato.
luca rossi rosica rosica…che ridere che fai!!! in realtà pare essere una delle maggiori operazioni in campo questa. mettere insieme, far coesitere un mix di situazioni del genere è un capolavoro, avanti ragazzi! luca rossi, ultimamente ti vedo parecchio incazzato con brown,l’iniziativa di de bellis/roccasalva/daneri, mars,fluxia, beretta, zero, minini,t293: sarai mica incazzato perchè sono bravi?
Bravi? Certo (forse) sono i più bravi in italia. Ma potrebbero fare qualsiasi cosa (ruffiana e omologata con l’estero) e andrebbe bene. Non esiste confronto critico. Mi sembra che tutti soffrino di esterofilia e pesanti complessi d’inferiorità verso il mondo (mondo…USA+europa). Sono copie che scimmiottano gli originali in un circolo di autoreferenzialità….più che bravi noiosi…o no?
bisogna xò distinguere ragazzi. Zero non è t293 o Minini o Monitor. Mars non è una galleria nel senso delle altre due, è una specie di associazione di artisti (non so che forma giuridica abbia). Fluxia un’altra roba ancora, una specie di joint venture con un artista che fa il direttore. Brown è una no-profit. Non si può far di tutte le erbe un fascio: ci sono strutture e mission diverse dietro ‘ste cose.
E poi cos’è beretta?
sono d’accordo con giovanni verde, alla fine sono tutte cose diverse. anche se concordo pure con l’altro intervento: sono proprio queste le realtà migliori in campo oggi. io poi questa mostra l’ho vista.
sono queste le proposte che possano rispondere a questo momento particolare. poi luca mi pare uno dei pochi artisti italiani che sta davvero mettendo in piedi delle situazioni ad ampio raggio.
mi sembra che l’operazione risulti un po’ confusa e consiglio Francesconi di fare molta chiarezza sugli obiettivi che si è prefissato