Come le atmosfere cariche di colori evocativi dei melodrammi anni ‘50 alla Douglas Sirk, la personale di
Jack Pierson (Plymouth, 1960; vive a New York) conduce il visitatore in una dimensione segnata da molteplici simbolismi. Sette grandi blocchi linguistici come installazioni dialettiche compongono un percorso espositivo metaforico e sincretico.
Del cinema c’è il senso del doppio. L’eterna ambivalenza delle “parole” scomposte e ricomposte per dare forma al vuoto. Pierson recupera “lettere” da vecchie insegne pubblicitarie, dai più svariati esercizi commerciali, perfino da occasioni impensabili come un funerale, costruendo uno straordinario linguaggio scultoreo segnato da tracce di memoria. Un’archeologia del linguaggio attraverso l’assemblaggio di reperti che raccontano d’una società estremamente consumistica.
“
Ogni parola o frase ri-costruita è in grado di evocare una storia”, sostiene l’artista. Ogni lettera racconta di un locale decaduto o dismesso, di uno spazio luminoso che nel tempo s’è spento. Pezzi, stralci, brandelli di un mondo pubblicitario che corre estremamente veloce, inseguendo bisogni di un momento che presto sarà da rottamare. Da questi reperti, ognuno traccia degradata di una storia passata, Pierson ri-costruisce nuove storie in cui tutto è indipendente ma connesso col resto.
Una delle priorità sceniche dei melodrammi era la scala. Di grandi dimensioni, elegante e barocca, la grande scala della villa che dava vita alla trama del film segnava il centro in cui s’incontravano e scontravano amori, passioni, liti furenti che dal piano inferiore trovavano ristoro al piano superiore. Intorno alla scala ruotava un universo di patimenti, sogni, frustrazioni, utopie, antagonismi familiari come in un’eterna corsa fatta di primi piani, moti vorticosi e stacchi di respiro.
Così il percorso espositivo alla Galleria Stein vede un centro imponente campeggiato da un’installazione suggestiva:
Romance. Appunto le passioni, la solitudine, i dolori, le felicità intrise nel mistero dell’amore, insieme emblema dell’estasi e della fragilità della vita. Intorno a questo grande simbolo ruotano altre installazioni, chiare citazioni cinematografiche:
Monica Vitti,
Actor. Sempre in tema di omaggio alla settima arte, quindi, in un costante flusso di sensi che si moltiplicano come in un gioco di specchi infranti:
The Unknown, indimenticabile film di
Tod Browning dei primi anni ‘30. Sconosciuto come qualcosa di “
eternamente insondabile”. Inquietante come le apparenze. Come le parole che non basteranno mai a conoscere le cose, che inevitabilmente resteranno sconosciute.
In concomitanza alla mostra, da visitare le
Nuove opere su carta e l’installazione
Money presso la vetrina di via San Damiano della Cassa Lombarda.