Erano i primi anni ‘60 quando
Piero Gilardi (Torino, 1942) iniziò a realizzare i celebri
tappeti natura. Sassi, fiori, tronchi, pietre da quel periodo non hanno più smesso di contraddistinguere il suo percorso artistico, pur ampliatosi successivamente in direzione di nuovi linguaggi e media.
Riguardando queste prime prove con gli occhi di oggi, le opere rischiano di assumere una connotazione unicamente decorativa, che invece non avevano quando sono nate. Il tappeto è prima di tutto un oggetto funzionale, non un mero manufatto artistico da contemplare, ma una realtà con cui l’artista invita a confrontarci in un rapporto fisico diretto.
Nati come proposta per la vita di tutti i giorni, i
tappeti natura si presentavano come oggetti da mettere in casa, da calpestare e usare, in un costante rapporto diretto e interattivo fra l’opera d’arte e il fruitore. L’atto artistico si trasfonde in questa maniera nel vissuto quotidiano, rinnovando la riflessione sul ruolo dell’artista e del suo rapporto con la vita e la natura. Il connubio tra arte e vita, infatti, è da sempre al centro dell’opera di Gilardi, che ha saputo concepire la prima in stretta relazione con i problemi della seconda, dando ai suoi lavori un taglio esplicitamente impegnato sul piano politico e sociale.
Figli dell’Arte Povera, i
tappeti natura devono molto anche alla Pop Art e all’opera di
Andy Warhol. Ma il loro potere è soprattutto quello di sedurre lo spettatore, catturandolo con la loro precisione tecnica e cromatica, salvo poi spaventarlo per la loro artificialità, inducendo così un sentimento nostalgico per la natura “vera”. Dietro l’apparenza da trompe-l’oeil si cela dunque una forte tensione critica nei confronti d’una società che si trasforma in maniera aggressiva. L’artificialità diventa così una sorta di “seconda natura”, e l’artificio un vero e proprio inganno vivente.
La natura di Gilardi è vista attraverso una lente d’ingrandimento, che la deforma rendendola in apparenza un gioco avvolgente e rassicurante. Gli oggetti in poliuretano espanso riescono infatti a chiamare in causa altri sensi oltre a quello della vista, rendendo l’esperienza artistica un fenomeno plurisensoriale. Oggi la fragilità del materiale ha reso necessario schermare i tappeti, custodendoli in teche di plexiglas che rendono la natura di Gilardi ancor più perfetta e incorruttibile. Purtroppo, però, privano i lavori della necessaria componente tattile con cui erano nati.
Quella che ne deriva è un’arte che non imita solamente la natura, ma la ri-crea, la ri-elabora in maniera personale. I
tappeti raffigurano così “momenti” di natura attraverso materiali artificiosi, proponendo una riflessione sul predominio del dato virtuale su quello reale. Riflessione ulteriormente sviluppata da Gilardi nelle sue prove artistiche recenti, nate sotto il segno della tecnologia e della multimedialità.